Io ho un problema con il sushi.
Una patologia.
L’ho ammesso da tempo a me stesso.
Rientra a pieno titolo in quella categoria alimentare che disattiva i miei sensori della sopravvivenza e mi induce ad ingoiarne quantità devastanti.
Poi, semplicemente, esplodo.
Come i rospi.
Quando a Perugia il sushi arrivò per la prima volta, complice il ristorante Tokyo dietro l’Università per gli Stranieri, l’unica cosa che mi salvò da morte certa fu il prezzo non proprio accessibilissimo.
Diciamo non un ristorante da mangiarci ogni sera, ecco.
Grazie al cielo.
E comunque, ogni volta che ci andavo a mangiare, per saziare la mia fame ancestrale se ne andavano almeno una sessantina di euro in pesce crudo.
Poi venne il giorno.
Ero a Terni, ospite di Edino, Ludo il bambino muscoletto e il prode Francesco. Verso sera decidiamo di fare quello che di solito raramente facciamo: uscire di casa, socializzare, aprirci al mondo e tutte quelle cose che, Dio li perdoni, i giovani fanno.
Edino mi accenna che hanno aperto un locale al quale, per un prezzo fisso, puoi mangiare tutto il sushi che vuoi.
In quell’esatto momento, a Perugia, mia madre inizia a piangere senza sapere perché.
Io penso di aver capito male e chiedo conferma ad Edino. Lui annuisce e sorride, come il padre che annuncia al figliolo che gli hanno aperto Disneyland sotto casa.
Lancio un urlo da Nazgûl e, cavalcando un cavallo nero, galoppo alla volta del locale. Spendo, quella sera, 18 euro.
Mangio l'equivalente in euro del costo di una Maserati di seconda mano.
Non calcolo, accecato com’ero dal poter finalmente mangiare sushi fino a scoppiare, che il cibo del locale è di qualità infima, probabilmente frutto di riciclaggio immondo di cadaveri.
Il primo che si accorge del mio star male è Francesco, infatti prima mi guarda e io sto così:
Poi alza di nuovo lo sguardo dal piatto e mi vede così:
“Mattì?” Mi chiede piano il mio amico, spaventato dal fatto che non sono mai in reali difficoltà con il cibo.
Il buon Francesco mi accompagna fuori a prendere una boccata d'aria, io lotto con tutte le mie forze per non vomitarmi gli intestini.
Corriamo a casa dove Stefania, la madre di Edino, mi salva sparandomi del bicarbonato in gola con un fucile da soft air.
Morale: diffidate del sushi di cattiva qualità.
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