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domenica 20 luglio 2014

SPAVENTI IMPORTANTI # 12: LA CASA DI FIAMME



Dovete sapere che, da bravo bambino figlio degli anni Ottanta, la mia infanzia è stata una grande avventura costellata di quelle situazioni pericolose tipo arrampicate di scale o tetti o petardi o roba in fiamme che fanno piangere le mamme e alzare la voce ai papà.
Se poi considerate che mia madre mi ha sempre fatto evitare la televisione, spingendomi a creare cose o a disegnarle, potete immaginare come il fattore “uh guarda che bell'albero fammici arrampicare che ci costruisco una capanna sopra” abbia raggiunto i massimi livelli.

Dovete sapere che mio zio Giacomo gestisce una super tenuta per conto di una famiglia inglese. Questa specie di borgo comprende un vigneto, un oliveto, e tanto, tanto spazio per giocare. Il paradiso per dei bambini irrequieti. Due colline a disposizione per fare tutto quello che volete, più un officina ultra fornita, più uno zio capace di costruire qualsiasi cosa. Cosa volete di più? Nulla, appunto.

Io, mio cugino Jacopo e mia sorella ce ne stiamo a bighellonare in giro, indecisi sul da farsi. Costruire spade di legno e menarci? Già fatto. Infastidire i nidi dei calabroni e poi spedire zio ad ucciderli? Già fatto. Costruire archi e cacciare fagiani e lepri? Già fatto.

Costruiamo una capanna, dunque!

Decidiamo di utilizzare delle ginestre secche, tagliate da zio e accumulate in un angolo. Un'ora di lavoro e siamo già all'interno di un simpatico igloo vegetale. Lo spettro della noia bussa alle porte della nostra nuova casa e decidiamo quindi di fare quello che un qualsiasi bambino della nostra generazione faceva se si annoiava: diamo fuoco alle pareti della capanna. Il gioco era questo: Jacopo dava il via alle fiamme e mia sorella, armata di bottiglia d'acqua, spegneva tutto salvandoci da una morte atroce. Per qualche motivo a mio cugino il fuoco piaceva molto, quindi ogni volta afferrava Martina, mia sorella, impedendole di agire potendo così ammirare le fiamme ancora un poco.
Alla terza volta di fila mio cugino la trattiene un po' troppo e, quando Martina cerca di spegnere le fiamme, l'acqua è troppo poca.

La ginestra (
Spartium junceum) è un arbusto della famiglia delle Fabaceae estremamente ricco di oli e, soprattutto secco, è probabilmente la cosa più infiammabile nel sistema solare.

Le fiamme ci avvolgono in un battibaleno, riusciamo ad uscire e iniziamo ad urlare avvolti dal fumo.




La silhouette di mio zio appare prontamente in cima ad una salita. È a torso nudo, armato di due secchi d'acqua.
Afferra me, mia sorella e mio cugino e ci lancia fuori dal fumo. Getta acqua sulle fiamme con i secchi e successivamente con un idrante improvvisato, scagliando fulmini dagli occhi e dal culo, come William Wallace.

Indovinate chi si è beccato la ramanzina, essendo il più grande del trio?

venerdì 4 luglio 2014

SPAVENTI IMPORTANTI # 11: IL BRANCO



Benvenuti al Club dello schizzetto nelle mutande. Questo ricordo è affiorato alcuni giorni fa, mentre stavo facendo ricerche su veleni vegetali. Chissà come mai il mio cervello ha fatto un’associazione del genere. Quel che ricordo di questa disavventura è abbastanza sfocato e vago, perché ero molto piccolo, ma ricordo benissimo il terrore.
Esso, come potente acido, ha impresso quell’avvenimento nella memoria. E, come un cadavere in un lago, ogni tanto riemerge spaventandomi.

Ero andato con la mia famiglia a trovare dei loro amici che avevano una grande casa in campagna, immersa in una specie di brughiera nebbiosa.
Non ricordo la località. Ricordo che stava scendendo sera, e l’aria era pungente.
La casa era un possente casolare di pietra scura, strozzato dai rampicanti e popolato di animali. Io me ne sto seduto in un salotto di legno, annoiato in mezzo ai grandi che parlano di cose da grandi.
Quand'ecco che una grossa falena mi passa davanti agli occhi. Ubriaca vola per la stanza e infila la porta semiaperta. Io guardo mamma e lei con lo sguardo mi fa capire che sì, potevi uscire fuori a giocare.
Rincorro la gigantesca falena per le scale di pietra fino all’aia di sotto, tutta lucida e bagnata di nebbia.
Corro, saltello, rotolo fino al lato della casa, affacciato su di un piccolo dirupo. Ero, diciamo in un vicolo cieco: a destra il dirupo, a sinistra il muro della casa e di fronte a me una legnaia, costruita proprio sull’orlo del precipizio.
La falena volteggia sopra la mia testa e plana verso il dirupo, interrompendo il gioco.
Mentre la guardo sparire tra le ortiche sottostanti un ringhio basso e gutturale attira la mia attenzione.
Mi giro con gli occhi sgranati e la bocca aperta.




Davanti a me c’è un cane nero. Un grosso cane nero.
Il mostro inizia ad abbaiare possente, io chiamo mia madre ma il verso del mastino è tanto forte che è come se fossi muto.
Dalla nebbia emergono altri tre cani, due dobermann e un bastardino piccolo, anche lui nero.
Tutti ringhiano scoprendo i denti, fermi come statue nella bruma.
Io non so casa fare. I loro latrati coprono le mie urla e il tempo si dilata in un gigantesco, orribile incubo.

E qui il ricordo si interrompe.

Il ricordo successivo raffigura me davanti alla porta del casolare che piango, mia madre che mi stringe a se.
Non ricordo come me la sono cavata. Cosa è successo tra me e il branco.

Ricordo che avevo la febbre, però.