sabato 23 agosto 2014

ISOLA DI WIGHT : PARTE UNO

La sveglia suona alle cinque di mattina. Io e Principesca ci svegliamo con lo scatto felino del bradipo e, ancora avvolti nel sonno, raccogliamo i nostri averi.
Attraverso l'esperienza accumulata in anni di feroce psicopatologia, organizzo tutto il mio bagaglio in uno zaino per computer manco tanto capiente. Inserisco nel pacchetto pure l'iPad, batterie di riserva, il costume da bagno che so già di non utilizzare e tutta la mia voglia di abbandonare la caotica Londra.
Pesca ha uno zaino espandibile Invicta giallo direttamente dagli anni 90. È grosso. Ma fa fatica a infilarci tutta la roba. Probabilmente per via del secondo paio di scarpe. O del vestito carino. O dei trucchi.

Raggiungiamo la stazione di Waterloo verso le sette e da li aspettiamo il treno per Southampton. 





Seguono due ore di bucoliche campagne e vacche e balle di fieno e aria via via sempre più pulita.
Mi rendo conto solo allora di quanto certe campagne inglesi sembrano in tutto e per tutto la zona vicino Deruta, quella che si vede dall'E45 mentre guidi. 



Southampton è una cittadina ridente e (pare) molto attiva, ma purtroppo non abbiamo il tempo di visitarla. Una provvidenziale navetta gratuita ci porta dalla stazione direttamente al terminal del traghetto.
Io, notando il sole che splende in cielo, lancio potenti incantesimi mentali affinché rimanga tale. E fanculo al servizio meteo di Google che dava tutti e tre i giorni di pioggia.


Il traghetto Red Funnel si rivela immediatamente molto comodo e lo staff è delizioso, lasciando lentamente spazio ad una tremenda constatazione: si faceva molto prima a nuoto.
La lentezza di quell'affare è disarmante. Un'ora di lenta agonia in compagnia di bambine orientali particolarmente brutte e di allarmi che suonano, perché le vibrazioni del traghetto arrivavano alle macchine trasportate di sotto.
Dall'esterno dovrebbe essere apparso pittoresco: una gigantesca barcona che suona impazzita piena di bambine brutte. Tipo "trasporto speciale diversamente belli, state lontani”.



Arriviamo al porto di East Cowes e il gps del cellulare subito ci salva, indirizzandoci ad un bancomat (non avevamo i soldi contanti per il pullman) e passiamo di fronte all'entrata dell'Osborne House, residenza estiva della Regina Vittoria.
Una brevissima auto analisi ci permette di capire che non siamo propriamente interessati ad un palazzo e stile italiano in mezzo alla campagna e proseguiamo oltre. Un bus guidato da Elton John con le tette ci porta fino al centro dell'isola, Newport.






Newport è un formicaio di turisti ed è dotata di tutte le comodità e le super catene di negozi a cui Londra ci ha abituato. Breve sguardo attorno, frappè al petrolio e cioccolato di MacDonald e via verso il mitico Castello di Carisbrooke. E già il bambino che è in me scalpita e lunghe colonne di vapore iniziano ad uscirmi dalle orecchie, come ogni volta che ho a che fare con medioevo, cavalieri e quant'altro.
Ora dovete sapere che Newport è disseminata di anziani gentilissimi che, non appena metterete gli occhi su una mappa o su di un tablet, vi piomberanno addosso con grandi sorrisi, chiedendovi se vi siete persi e deliziandovi con il loro essere vecchi inglesi.





Uno di questi ci consiglia di prendere il pullman per raggiungere il castello ma noi, impavidi, ci inerpichiamo a piedi nei numerosi sentieri che tagliano per campi o fratte,  numerosissimi nell'isola.



Il castello è bello grosso e, come ogni monumento del genere nel Regno Unito, ci puoi mangiare per terra da quanto è tenuto pulito.
Facciamo a piedi tutto il perimetro delle mura esterne, godendoci il paesaggio e l'aria tersa. Mandrie di ragazzini salgono urlando da una discesa, e li vedo armati di spade di legno.
Annuso nell'aire eccitazione e manifestazioni medievali, sbircio attraverso le fronde e la vedo: una cazzo di giostra medievale. Cioè quella con i cavalli e i cavalieri e le bandiere che svolazzano al vento e le lance e voglio morire qui.
Alla vista del lieto evento io mi piscio immediatamente addosso, come succede ai barboncini sovreccitati. 


Raggiungiamo la porta d'ingresso, una colossale struttura difensiva all'interno delle mura esterne.
Per raggiungere il castello ci fanno passare per il gift shop a causa del temporale che nel frattempo è scoppiato, costringendo i non nativi a cercare riparo. Gli inglesi e gli isolani invece, coma c'era da aspettarsi, reagiscono alla pioggia semplicemente scrollando le spalle e alzandosi il colletto della camicia.
Pesca mi compre gli occhi con una busta e taglia in due la carta di credito mentre passiamo davanti a boccali di corno, spade bastarde e balestre da acquistare.


I simpatici ornamenti della camera da letto. Si sentono belare la notte.



Il castello è una figata. Enorme, pieno di vita e di attrazioni. Nel grande spiazzo interno tende medievali sono casa di tizi in costumi che parlano ai turisti delle attività medievali. Abbiamo quindi un vecchio arciere che parla delle armi (e beve continuamente vino da un corno), due signore inglesi pienotte che ci raccontano ricette di un tempo a base di lepre ed erbe, un giullare che fa un processo ad un gallo.
E poi venditori. Sacche di cuoio, boccali, utensili e ciotole di legno d'ulivo. Gli occhi mi luccicano e, avvertendo il pericolo, Pesca mi trascina sulle mura, da dove si gode di una vista incredibile.  



Un saluto agli asini del castello e chiediamo ad un ragazzo dello staff come arrivare alla fermata più vicina per prendere il bus numero 7 per Freshwater, dove abbiamo prenotato il Bed and Breakfast.
Lui ci sorride e risponde con un'altra domanda: “siete disposti a passare per campi? Ci tenete alle scarpe?”
Noi, spaventati dal poter fare la figura dei londinesi fighetti che han paura di rompersi le unghie, rispondiamo che siamo pronti a tutto e il tizio ci spedisce in una sentiero in mezzo ad un campo e, successivamente, dentro un bosco.


Sbuchiamo nella via principale di Carisbrooke (tre case in croce ed una chiesa) e il bus numero sette ci trascina per campagne meravigliose fino alla deserta, inquietante Freshwater.

Il B&B “... Cottage” dall'esterno lascia abbastanza a desiderare. Suoniamo alla porta e la proprietaria, una sorridente signora inglese, ci accoglie all'interno. L'ambiente è molto intimo, c'è nell'aria un buon profumo e tutto è arredato con gusto. Primo problema: la stanza non è quella che c'era in foto. 




Deliziosa, per carità, ma se uno prenota una stanza poi si aspetta che corrisponda a quella in foto.
Piombiamo addormentati per un'oretta sul comodo letto matrimoniale e al risveglio decidiamo di andare a vedere il mare, a soli due minuti di distanza.
La spiaggia sabbiosa è illuminata dal sole calante e per un attimo ci sentiamo sciogliere di dosso tutto lo stress londinese. Ci gustiamo quel microcosmo a noi inedito. In lontananza, un vecchio e suo nipote camminano lungo la battigia. Gabbiani nani con lo sguardo da psicolabili se ne stanno in giro zampettando e guardandoci di lato, alla maniera spaventosa dei volatili.
Faccio un paio di foto da stronzo artistoide e decidiamo di cercare un buon ristorante a Freshwater, che ci è venuta nel frattempo una gran fame. 






Segue una lunga passeggiata in cui sembra di essere piombati in un set da film post-apocalisse zombie. Case sbarrate e in rovina. Ristoranti indiani tirati a lucido ma totalmente deserti.

La banca Barclays più piccola al mondo, probabilmente.

Unico segno di vita un ragazzetto di Bombay che, non appena ci vede, fugge con gli occhi carichi di un terrore antico.
I giovani che si vedono in giro hanno generalmente non più di diciannove anni e sono occupati ad allenarsi per lo sport nazionale inglese: bere alcolici. La vista di ragazzette appena maggiorenni che traballano per strada chiedendo ai compagni “dov'è la mia cazzo di tequila stronzo” mi riempie il cuore di una tristezza nera.
Disperati dalla totale assenza non solo di ristoranti ma di forme di vita in generale io e Franpesca decidiamo di spostarci alla vicina Yarmouth, già più curata e pittoresca dell'abominevole Freshwater.
Nel tragitto in pullman chiediamo consigli su dove mangiare al grasso autista, confidando nel fatto che un obeso che vive su un'isola da qualche parte deve pur nutrirsi.

Ci suggerisce “Salty's”, un locale sul porto dove si mangia pesce. Ci spiega di quanto sia buono, ma noi non lo stiamo più ascoltando: alla parola “pesce” abbiamo sfondato il finestrino e stiamo correndo verso il ristorante a quattro zampe, latrando come mastini. 



Il locale è tutto sommato molto intimo e confortevole, se si ignora le decorazioni a muro eseguite da un bambino di quattro anni.
Rapido sguardo al menù e la scelta è fatta:

Sardine croccanti grigliate (7.50£)
Gamberi in stile Louisiana accompagnati da pane al mais fatto in casa (13£)
Frittura di “White Bait” con salsa tartara (7.50£)
Cheese cake con mirtilli e cioccolata bianca (5.5£)
Pinta di Amstel (4.5£)

Devo dire tutto eccezionale. Il fritto era buonissimo ma non unto e le mie sardine saporitissime anche se una non era stata pulita alla perfezione e risultava un po' amara, ma son piccolezze. Il dessert era un piccolo capolavoro di gusto e presentazione.
I gamberi molto buoni, incredibile l'associazione con il pane al mais.
I miei complimenti al cuoco. E al proprietario alticcio che ci ha intrattenuto per mezz'ora raccontandoci la sua vita, aggiungendo alla fine “torno subito” e uscendo dalla porta d'ingresso.
Non è più tornato.

Conto finale?


Stremati dal cibo e dalla stanchezza aspettiamo tipo quaranta minuti il pullman (la nostra sfortuna con i mezzi pubblici in questa vacanza è già diventata un ciclo di canti nelle leggende popolari dell'isola) e raggiungiamo il B&B. Tocchiamo la superficie delle coperte e cadiamo in coma.

Rimanete sintonizzati per la seconda parte.

Nessun commento:

Posta un commento