domenica 31 agosto 2014

GAME OVER # 13: OUTLAST



È stato il mio primo acquisto sul PlayStation Network e devo dire di esserne molto soddisfatto. Sto parlando di Outlast, cari miei, il videogioco horror di casa RedBarrel.

Il gioco in se sarà oggetto di recensione a parte, quello che per ora dovete sapere è che il giuoco in questione ha rischiato di farmi morire più e più volte.
La puntata di oggi, infatti, è ambientata nel pomeriggio in cui io Lucio decidiamo di giocarci insieme. E insieme significa ovviamente che io gioco e Lucio si copre gli occhi con un peluche a forma di alce.

Insomma per farla breve il tuo personaggio, nel videogioco imbratta-braghe, è un giornalista che non ha niente di meglio da fare che andare a ficcare il naso in un CAZZO DI MANICOMIO ABBANDONATO IN CUI È STATA AMMAZZATA DELLA GENTE.

Certo. 

Me lo immagino Mile, il mio personaggio, alla riunione di redazione.
Più o meno allo stesso livello dei servizi di Studio Aperto.
“Allora ragazzi tutti pronti a prender nota? Mi servono dei servizi per domani pomeriggio, non mi importa chi cura cosa. Allora, pronti a scegliere?”
“Si, signor caporedattore.”
“Gelato cade per terra a Via Bancoretto. Panico tra i presenti. Chi la vuole?”
Mile si gratta il mento, annoiato. Non gli è mai piaciuto il gelato, che da piccolo una vota ci si era strozzato e gli è rimasto il trauma.
Una mano si alza. È Mahoney.
“Ok Mahoney. Il caso è tuo. Andiamo con il secondo: Laica, la cagnetta del canile di Collestrada, ha superato l’operazione alla zampetta con grande successo. Il veterinario dice che in un paio di settimane potrà correre libera di nuovo. Nessuno interessato?”
Mile ci pensa su. Da adolescente è stato allergico al pelo di cane. Non più per carità, ha fatto tutti i test del caso.

Si guarda la pelle della mano che regge la sigaretta. C’è un piccolo brufolo e appare un po' screpolata.
Ma sti cazzi. Perché rischiare?

Flanaghan, appoggiato al muro, fa un cenno con la testa: “Lo prendo io il caso, Boss.”
“Bravo Flanaghan”, sorride il capo, “Fai tante foto, mi raccomando.”

Pausa caffè. Janine entra con un vassoio di tazze fumanti nella Sala Riunioni. Tutti le guardano il culo. Il capo gli ci allunga una pacca che allieta tutti con un piacevole *clap*.

“Torniamo al lavoro, ragazzi. Sentite questo caso: Spaventoso manicomio abbandonato, con pazienti fottuti di testa ancora all’interno, dove gente è stata ammazzata ed esperimenti sono stati fatti sulle povere anime. Vista sul lago.”

Mile sente improvvisamente una gran puzza di sudore. Non è possibile, cazzo. È la terza volta che cambia deodorante in due settimane. Alza il braccio per annusarsi l’ascella e non fa in tempo a capire che la puzza non proviene da lui che sente la voce del direttore: “Ok Mile, il caso e tuo. Portati una videocamera e filma tutto”.

Mile rimane lì, con il braccio alzato. Guarda la mano sollevata. Guarda il brufolo, la screpolatura.
Connette i pensieri, coglie cos’è appena successo.

E capisce di aver fatto il più grande errore della sua vita.

Otto ore dopo sono all’interno del manicomio. Un posticino niente male, se si ignora il sangue dappertutto. Devo raggiungere un luogo x e in mezzo al corridoio c’è un tizio su una sedia a rotelle.



Mi da le spalle. È secco come un chiodo e ha un tic alla spalla. Il mio personaggio inizia a respirare pesantemente. Segno, come in Amnesia, che si sta cagando addosso.
Scambio di sguardi con Lucio e con Kalinowski, che si è appena aggiunto alla compagnia.
Lui, dall’alto della sua fredda attitudine polacca e della sua visione nichilista delle cose, tira una boccata alla sigaretta e dice “Just go, mate”.
Io, titubante, seguo il suo consiglio.
Con esasperante lentezza passo accanto al tizio. La faccia è sfigurata, sembra dormire. Continuo ad allontanarmi, senza mai distogliere lo sguardo dal pazzoide semidormiente.
Cinque metri più in là, una porta. Oltre la soglia un’ampia stanza tipo salotto dove tre detenuti del manicomio stanno fissando una tv accesa ma senza nessuna immagine. Sporca di sangue.
“Benissimo”, dico io. 
Dentro, piango.
Kalinowski, nuovamente, mi da un consiglio ben ponderato: “Just go, mate. Go and see what happens”.
Io, in un perfetto italiano, gli dico sorridendo “Grazie, Sebastian. Grazie ar cazzo.”
Lui non coglie.
Passo lentamente davanti ai tipi e noto che è come se non esistessi.
faccio quel che devo fare e passo di nuovo, circospetto, davanti ai poveracci. Non mi cagano di pezza.
“Cazzo”, penso, “è stato facile!”
Mi faccio tutto il corridoio bello allegro, passando di fianco al tipo dormiente sulla sedia a rotelle.

Quello mi balza alla gola, urlando. 

Io, Lucio e Kalinowski saltiamo sul divano con uno strillo, come femmine.
La mia bocca si spalanca e orribili bestemmie ne fuoriescono. Al Vaticano sette vescovi hanno un malore.


Spengo la PS4 e rimango seduto sul divano, guardando lo schermo nero. Passerà molto tempo prima che giocherò ad Outlast nuovamente, lo so.

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