lunedì 7 aprile 2014

LE RECENSIONI DEL POLPETTONE: IL GREEN PEA A GREENWICH


In generale devo dire che la zona di Greenwich vale un viaggio nel Sud di Londra a se stante: adagiata sulle sponde del Tamigi, Greenwich è un posto tranquillo, pieno di verde e di belle cose da guardare. Considerando poi quanto io e Francesca amiamo mangiare, pensate forse che ci saremo lasciati scappare un'occasione tanto ghiotta di tornarci? 
Sull’ormai inflazionato Tripadvisor notiamo che un piccolo ristopub irlandese, il Green Pea, ha tutte ottime recensioni. Subito ci viene l’acquolina in bocca e decidiamo di metterlo alla prova, considerato anche il fatto che è ormai davvero raro trovare a Londra un pub che offre cucina tipica inglese di un certo livello che vada al di la del fottuto fish ’n chips o dei cazzo di burger, complici le catene che, acquistando i pub e omologandoli, fanno scomparire la tradizione culinaria britannica.
Tradizione che, vi assicuro, vale la pena non perdere.

Insomma ci spariamo quasi un ora di metropolitana e verso le nove siamo in una bellissima Greenwich notturna.





Il pub si presenta abbastanza anonimo all’esterno, il classico posto a cui non daresti una lira. 



Apriamo la porta ed è pieno di irlandesi che urlano. Buon segno.

La prima cosa che salta all’occhio è l’ambiente familiare e accogliente: cianfrusaglie in ogni dove, libri, foto, pupazzetti del kinder sorpresa, un vecchio forno abbandonato in un angolo, divani sgualciti e comodi, un camino acceso e così via.



Il risultato è che, quando Tom (il meraviglioso gestore del locale) ci fa accomodare su un divano mentre ci prepara un tavolo, io mi sento subito a mio agio, mi sbraco, ordino due bicchieri di vino, saluto un bimbo che mi stava guardando, e inizio a chiacchierare amabilmente con Francesca, come se quel posto lo avessimo frequentato da sempre.
E questa (e ve lo dice uno che da due anni lavora nella ristorazione) non è cosa da poco. In un ristorante il 50 per cento del successo dipende dall’atmosfera o, come la chiamano qui a Londra, la “vibe”.
Veniamo raggiunti da quello che è il vero fulcro del ristorante, colui che da solo vale un viaggio non solo da Wood Green a Greenwich, ma da dove cazzo vivete in questo momento a Greenwich: Tom.

Tom è l’anima del Green Pea. Immaginate un signore anziano, magro lino, con due occhi azzurri che perforano il marmo. 
Un signore con modi gentili, la parlantina disinvolta e i modi adorabili.
“Tu e la tua amica sedetevi sul divano”, ci dice, “vi porto un bicchiere di vino mentre vi preparo il tavolo. Voglio darvi spazio così potete parlare in tranquillità, guardandovi negli occhi e quelle cose li”.
E così fa, ci porta un bicchiere e nel frattempo ci spiega il menù, di come tutto sia fatto in casa, senza grassi animali, alla vecchia maniera irlandese.
E Tom ci manda un’occhiata arzilla da vecchio rivoluzionario dell'IRA “’cause the English way’s dreadful, really.” (Il modo di cucinare inglese fa schifo, davvero).
Il cibo ci arriva in breve tempo e la prima cosa a colpirci è la quantità: è tantissimo.



E ve lo dice uno che mangia trecento grammi di pasta a pranzo.
Io ordino del prosciutto cucinato all’irlandese con gravy, purea di patate, patate fritte tagliate a mano e due uova fritte.
Francesca ordina invece una pie con carne cotta nella Guinness, vegetali e patate fritte.
Il gusto è eccezionale. Le patate fritte fresche sono meno saporite del solito, ma solo perché il 90% delle patatine che mangiamo in giro sono fritte in olio vecchio di giorni e sono congelate.
Quelle erano vere patate, tagliate a mano e fritte in olio, non in grasso animale. Sapevano di patate. Meravigliose.
Il prosciutto si scioglieva in bocca, una vera delizia. Come spesso accade, a metà piatto io e Francesca ci scambiamo gli ordini, e ho così modo di gustarmi la pie. Eccezionale. Il retrogusto di Guinness è evidente senza però essere aggressivo.
Passiamo per i dolci, una custard tart con mandorle e marmellata di lamponi e una fudge al cioccolato calda.
Anche per questi non ci sono parole. Eccezionali come eccezionali sono i dolci fatti in casa.
Tom continua ad intrattenerci con il suo essere una persona adorabile e, quando io scherzosamente gli comunico che non posso camminare per quanto sono pieno, e che quindi dormirò li, lui mi regala un sorriso da bambino e mi dice “fai pure, se sei felice tu sono felice io”.
Gli promettiamo di tornare per assaggiare l’agnello al forno, lui ci da il suo numero, “così mi chiamate e io ve lo faccio trovare pronto appena uscito dal forno”, e mi dice che se voglio esporre i miei quadri lui sarebbe felicissimo di ospitarli sulle sue pareti.
Lasciamo il ristorante a malincuore, con il cuore caldo di chi ha visitato un amico.

SCALA GIORGINA!


Nessun commento:

Posta un commento