Sono sempre stato una buona forchetta. Mio padre racconta che a due anni riuscivo a mangiarmi una spigola da ottocento grammi da solo. Mia madre dice che da neonato bevevo oltre nove biberon di latte al giorno.
Devo dire che sono stato aiutato molto dal fatto di essere nato in Campania, dove i bambini che non mangiano come adulti vengono ritenuti deboli e quindi lanciati in un dirupo.
Crescendo ho costantemente messo alla prova il mio stomaco e il mio coraggio. Alcune di queste situazioni hanno del surreale, dello spaventoso o del disgustoso ed io, nuova icona del web intellettuale, mi son detto: “perché non raccontare ai cari fedeli che seguono il mio blog alcune di queste storie?”
Beccatevi quindi una storiella nuova nuova, prima puntata della nuova rubrica Mattia VS Food:
Un anno fa circa un evento eccezionale sconvolse la routine del grande clan che è la famiglia da parte di mia Madre: una confraternita di folli, sette fratelli completamente pazzi contornati da figli, nipoti, pronipoti e chi più ne ha più ne metta.
Insomma un bel giorno Livio, il più anziano dei nipoti di mia nonna (mio cugino quindi), annuncia alla famiglia la sua volontà di sposare Alessandra, la sua ragazza.
Gaudio e urla tra i presenti, lacrime da tutti i membri femminili della famiglia e mia nonna che cade in una profonda trance in cui inizia a scagliare potenti benedizioni a sfondo cristiano, lanciando acqua addosso a tutti.
Il matrimonio viene subito atteso con grande fermento, in quanto una delle poche occasioni in cui il clan si può ritrovare al suo completo. Trattasi quindi di una quarantina di persone, se non più.
Subito io e Michele (fratello di Livio e altro eccezionale mangiatore), ci focalizziamo sulla parte a noi più cara dell’evento: il buffet. Riusciamo ad avere in anteprima il menù che verrà presentato e decidiamo come agire strategicamente per dare il meglio di noi quando il momento di gettarsi sul cibo arriverà. Michele suggerisce un giorno di digiuno di preparazione. Poi io mi lancerò sulla tavolata con due materassi a due piazze e, utilizzandoli come vassoi, ruberò tutto il possibile mentre mio cugino terrà lontana la folla mulinando in aria la sciabola per tagliare il prosciutto.
Quando il grande giorno arriva la prima cosa a stupirmi fu la location: mio cugino aveva affittato un cazzo di castello delle favole. No dico, una cosa mai vista: ENORME, CON MURA, TORRI E TUTTO IL RESTO.
Segue la solita, lunghissima sequela di saluti a parenti che uno non vede mai, e tutti giù a dirti quanto tu sia stronzo che non ti fai sentire mai, che sei dimagrito, che sembri tuo padre.
La tavolata degli antipasti è qualcosa che fino ad allora avevo visto solo su film e magazine di cibo: prosciutto tagliato a mano da un cameriere ninja di servizio, bocconcini di mozzarella di bufala, gamberoni selvaggi, insalata di polpo e prugne, pizze, zeppole, tartine di ogni tipo, parmigiano, taglieri di formaggi, mieli, marmellate, fritti misti di verdure e pesce. Io e mio cugino ci lanciamo sulle pietanze accompagnati dal verso del giaguaro tipico dei film anni ’70.
Spazzoliamo due vassoi a testa di ogni singolo antipasto. OGNI. SINGOLO. ANTIPASTO.
Seguono quindi tre primi devastanti e buonissimi, durante i quali ci viene incessantemente servito vino (rosso, bianco, rosé) da dei camerieri ombra con le mani guantate di bianco.
È dunque l’ora dei secondi, anche loro tre, tra cui spiccavano delle meravigliose mezze aragoste ripiene. Io ne mangio due. Poi, mentre già gran parte della sala veniva rianimata a colpi di bicarbonato, un cameriere emerge dalle cucine con un vassoio delle dimensioni di una Fiat Punto. Su di esso, schierate come soldati, le aragoste avanzate dal servizio.
“Qualcuno gradisce il bis?”, chiede il brav’uomo.
Io sento, per la prima volta nella serata, quella voce che risponde al nome di buon senso che mi dice: "Mattia, fermati. Non ci sarà ritorno da dove stai precipitando. Questa volta ci lasci le penne".
Io scaccio la noiosa voce precisina e la mia mano si alza, unica in tutta la sala.
“IO VOGLIO”, dico al cameriere, ormai incapace di parlare l’italiano in maniera coerente. Il mio sguardo è quello spento e corrotto di Theoden quando era assoggettato da Saruman.
Mangio altre tre mezze aragoste. Bevo altro vino. Rubo un qualcosa che non ricordo dal piatto di un mio altro cugino. Mia madre mi vede e piange.
Ad un tratto una tizia con guanti bianchi spunta dal nulla e dice, con voce candida: “si invitano tutti gli ospiti a recarsi nell’ala est del castello, dove ci sarà un buffet di dessert.”
Io, ormai con serie difficoltà respiratorie, striscio schifosamente tra i corridoi e gli arazzi e raggiungo il Nirvana: immaginate un corridoio medievale con TUTTI I CAZZO DI DOLCI DEL MONDO serviti su vassoi o addirittura (come nel caso dei cannoli siciliani) fatti sul momento da dei pasticcieri di servizio.
Una tavolata di frutta di ogni tipo, dalle mele alla papaya, circondava una fontana di cioccolata al latte a tre piani. Il mio buon senso tenta un ultimo, disperato tentativo: “MATTIA PENSA A TUA MADRE E TUA SORELLA NON FARLO!!! MUORI SE CONTINUI, CAZZO!”
Io apro la bocca e, insieme ad un rivolo di bava e succhi gastrici, esce il sibilo tipico di chi ha qualcosa bloccato in gola. Rubo un vassoio di argento e afferro un dolce per ogni tipo. Stiamo parlando di un venticinque assaggi. Esattamente come fanno gli animali che sanno di dover morire, io abbandono il branco: trascino una poltrona all’aperto, all’ombra di un grande albero, e inizio a mangiare lentamente i dolci. Al terzo dolce capisco che forse sto morendo, perché ho gli occhi aperti ma vedo buio. Mi spavento e lascio cadere il vassoio a terra.
Attendo nell’ombra l’arrivo della Oscura Signora, sibilando e sbavando.
“Ecco”, mi dico, “vado dai miei padri, nella cui gloriosa compagnia ora non dovrò più vergognarmi.”
Invece, come avrete intuito, sopravvivo alla terribile, sfibrante digestione della notte.
Complice un Montenegro e tanta, tanta fortuna.
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