Chi segue questo blog da un po di tempo conoscerà bene il mio svizzero impegno nel postare un giorno si e uno no. Sarà quindi, di conseguenza, rimasto colpito dalla mia latitanza di questi giorni passati. Il fatto, amici miei, è che pretendo di fare troppe cose assieme. Lavorare quarantacinque ore a settimana e curare un blog è fattibile. Cercare di dipingere, scrivere, comporre e allenarsi nel contempo non lo è piu. Negli ultimi giorni ho notato di quanto mi mancasse sedermi davanti ad un foglio bianco e creare. O afferrare una penna e scrivere qualcosa. O impugnare un coltello di gomma e infilzare un nemico invisibile seguendo le tecniche di uno stile X. Ho passato tanto tempo a curare un blog che mi ha dato moltissimo. Mai avrei pensato di raggiungere le migliaia di visualizzazioni che ho avuto. E di questo vi ringrazio. Ma ho bisogno di dedicare un po' di tempo all'arte. Devo. Questo non è un addio, sia chiaro. Solo non aspettatevi i post con quella frequenza. Forse uno a settimana. Forse uno al mese. Non lo so. Molto probabilmente devo solo rallentare un po' i ritmi di una città che è già caotica e sempre di corsa. Ritagliarmi il tempo di un bicchiere di porto davanti ai colori ad olio sarà senz'altro terapeutico. Al prossimo post, vecchi miei. Spero presto.
Io conosco bene Edoardo. So quando ha voglia di fare le cose, quando non ne ha voglia, quando ti dice di si ma in realtà preferirebbe di no. So cosa scriverà a proposito di questi giorni a Londra, e sono anche abbastanza sicuro su come il suo post sarà strutturato. Lo so perché ha preso appunti e foto durante tutta la nostra avventura, complice una straordinaria resistenza all'alcool. So che la sua sarà una cronaca. Lascio quindi a lui il racconto e le foto, un po' perché è sempre stato immensamente più bravo di me a scrivere, un po' perché io dopo la decima pinta ho il buio. Leggende narrano che lui, invece, non solo termina il Golden Mile con successo, ma si beve l'ultima pinta di Francesco, torna a casa, si mangia della pasta e si beve un'altra birra, così, a sfregio. Edoardo ha un particolare potere mutante: ogni liquido alcolico che entra nella sua bocca viene immediatamente teletrasportato in un boschetto al confine con il Molise, impedendo così alla bevanda di intaccare il corpo. A parte gli scherzi, io il Golden Mile non l'ho finito, non ce l'ho fatta. Sono poco allenato e non ho sangue vichingo nelle vene. Non bevo mai, praticamente. Ed eravamo a stomaco vuoto. E, nonostante ritengo che dieci pinte siano un ottimo traguardo, dovetti abbandonare i miei amici prima del tempo. Uno dei miei ultimi ricordi è il volto di Edo, sorridente, che nella penombra dello Spouters Corner mi dice "Lascia, Mattia. Non importa, non è importante". E aveva ragione. Non lo era.
Il logoro e sporco pezzo di carta raffigurato nella foto sarà per sempre il ricordo di un'audace impresa, l'avventura di quattro amici che hanno fatto qualcosa di grandioso. Non un traguardo mancato. Non solo, almeno. Un viaggio. Un'avventura, in un tempo ormai avido di cavalieri, draghi e fanciulle. Quattro ragazzi che hanno sfidato la notte a colpi di birra, di risate e prese per il culo. Me ne resi conto davanti al The Gate, mentre buttai l'occhi alle stelle, lassù. Lo sguardo mi si sfocava per via di quella che era la nona pinta, oramai. "Dio quanto sono felice", bisbigliai fra me e me. E di questo volevo ringraziare, i miei splendidi, meravigliosi amici. Di avermi regalato l'unica cosa che l'uomo sta rincorrendo dall'alba dei tempi: la felicità. Grazie a Ludovico, perché è l'uomo che mi fa più ridere sulla faccia della Terra. E il fratello che non ho mai avuto. Grazie a Francesco, perché ci sopporta e perché so di poter sempre contare su di lui. Grazie a Edoardo, perché è mio alleato, mio compagno, mio capitano. Grazie ai miei amici, invincibili e immortali. La notte, quando Pesca ci mise tutti a letto, aprii gli occhi devastato dal mal di testa. Ludovico vomitava in una bacinella. Edoardo russava. Francesco, nel buio, chiamava il nome di Ludovico per assicurarsi che fosse a posto. Mi sentivo in una nave, in un castello, in una botte di ferro. E avventato, e fortunato, e santo. Mi sentivo in famiglia. Mi sentivo fra amici. Fra amici veri. E, prima di piombare nel buio del sonno, sussurrai di nuovo fra me e me:
Oh, non me ne voglia la gente. Edoardo, Ludobambino e il prode Francesco Bufali sono qui a Londra. Fanculo il blog. Fanculo tutto. Oggi facciamo il Golden Mile. 12 Pubs. 12 Pinte. Ci si risente per il resoconto.
Benvenuti ad una puntata dedicata alla donna cui devo molto della mia discutibile abilità culinaria: Giuliana, mia madre. Di cognome lei fa Rosamilia, ma ogni volta il suo cognome viene pronunciato male da enti pubblici o autorità: Rosa Emilia, Rosa Emiglia, Cosamilia. Non volevo essere da meno. La ricetta di oggi è una meraviglia per gli studenti che se la devono cavare con un budget giornaliero di tipo cinque euro, che gli ingredienti non costano un cazzo di niente. Se eseguirete la ricetta con attenzione ed amore, avrete ottime possibilità che essa sia buona almeno la metà di quando la fa mia madre. Oggi chiederò al Dottor Vessicchio di eseguire un pezzo che mamma ha sempre odiato, giusto così, per ricordarle perché mia sorella è la figlia preferita. Il pezzo è "Lasciami Leccare l'Adrenalina", degli Afterhours. Perdonami mamma, se sono nato sbagliato. Dottore?
si?
LISTA DELLA SPESAFTERHOURS.
I soliti olio, aglio, sale, pepe e pepeoncino, che quelli non mancano mai.
Pollo della Madonna super organico nutrito a mais.
Olive verdi e nere.
Rosmarino.
Vino bianco o, se andate di fretta come me e sbagliate, del Perry dal nome pseudoitaliano.
Su di una tovaglia bianca e verde, triturate l'aglio finemente. Fategli una foto in posa con il coltello.
Gettatelo in una ciotola. Con amore, però. Pensate a vostra madre e, pregni di malinconia pascoliana, lasciate che una lacrima vi solchi il viso.
Fate a pezzi le olive verdi. Gettatele nella ciotola sbattendo i piedi per terra a tempo di musica e fratturando due mattonelle.
Stessa cosa per le olive nere. Aggiungete sale, pepe, rosmarino e peperoncino. Quando vostra madre entrerà nella cucina, allarmata dal baccano e dalla musica alta, urlatele VAH VIAH.
Olio e padella. Un classico.
Gettate le cosce di pollo dentro. Piangete copiosamente.
Coprite e fate rosolare. Fategli prendere colore a quel figlio di troia.
Aggiungete il mix che avete preparato prima. Piangete di più.
Ammirate l'etichetta della bottiglia. Ricordate a voi stessi che dovete controllare meglio cosa acquistate. Date la colpa dell'accaduto al vostro coinquilino.
Versatevi un bicchiere, che non si sa mai. Piangete.
Aggiungete il vino bianco/perry nella pentola. Fate cuocere per almeno venti minuti girando il pollo di tanto in tanto e aggiungendo di continuo il vino ogni volta che si asciuga.
Servite con brio e pane tostato. Piangete moltissimo e, se vostra madre vi chiede di assaggiarne un po', negateglielo.
Alla prossima ricetta e, mi raccomando, non abusate di perry.
Benvenuti, sporchi pervertiti. Benvenuti alla settima puntata del minestrone virtuale a base di orrendi aborti e situazioni equivoche nel mondo dei fottuti Sims. Siamo pronti? Siamo carichi? Bravi, bambini.
Sophie fu molto sorpresa nello scoprire che suo figlio era, in realtà, una lumaca.
Famolo selvaggio.
Magritte - Pioggia sulla sensibilità delle stelle - olio su tela - Louvre
Oh no, chi ha invitato la nana ninfomane?
Quando realizzò quanto brutta fosse la felpa appena acquistata, Filippo decise di togliersi la vita strangolandosi.
Stanco dei rifiuti della ragazza, Marco la stordì con un potente colpo di Karate
L'ultima foto che ritrae il piccolo Piero ancora vivo. Prima che i cavalli nani di Satana lo attaccassero.
Carlo tentò una volta di ingoiare sua figlia, visibilmente stupita. La madre, sullo sfondo, sembra voler dire: "Ci risiamo! Che matto mio marito!"
Massimo cerca di fuggire dal biondo inquietante dietro di lui e il mirabolante nano succhia aria.
Lui ci prova. Lei è visibilmente eccitata.
Un nuovo spietato attacco da parte dei cavalli nani di Satana.
Oggi fa freddo, meglio mettere gli stivali alti.
Perché mai alzare il cucchiaio se posso avvicinare la faccia?
Violetta un attimo prima essere cacciata a vita dall'Accademia di Belle Arti.
Uno dei grandi vantaggi di avere un account Plus sul PlayStation Store è quello di avere grandi sconti o addirittura giochi gratuiti ogni mese. Un paio di mesi fa noto che fra i giochi in saldo spicca Hotline Miami, titolo di cui tutti mi hanno parlato bene.
Decido che, per 2 pound e spiccioli, vale la pena dargli una possibilità.
Il gioco riassunto in parole povere? Massacra i cattivi con sottofondo di musica tecno/elettronica. E quelli che mi conoscono diranno “AHAHAHAHAHAHA Mattia e musica elettronica? Avrà senz'altro gettato la PS4 dalla finestra, uccidendo sul colpo una suora di passaggio!”
E invece no. Sto gran cazzo che butto la PS4. Ma manco se devo giocare al videogioco dei One Direction. Manco per ammazzare una suora. Fatto sta che Hotline Miami è divertentissimo. Grafica pixelosa vintage. Musica che, per quanto non è assolutamente il mio genere, entra nel cazzo di cervello. Un ritmo frenetico ammazza-muori-ricomincia che ti fa urlare dei gran SICAZZOTHOAMMAZZATOFIGLIODITROIA ma anche orribili bestemmie. Hotline Miami fa quello che ogni gran gioco deve fare: divertire. Tanto.
Che poi la cura grafica trasudi amore quello è una gradita aggiunta ad un prodotto che vale ogni soldo speso.
Accompagnati da bassi sfonda-subwoofer dovremo, nei panni dell'eroe, rispondere a telefonate che ci diranno cosa fare.
E poi via, una bella maschera in faccia (a seconda della maschera che sceglieremo avremo abilità diverse) e parte la mattanza. Avremo una valanga di armi a disposizione, dalle mani nude alla katana al fucile a pompa. Ma si badi (e qui capite come attorno al vivere e morire ruoti tutto il gioco) che ai nemici basta UN COLPO per ammazzarci. Una coltellata. Un proiettile vagante. Una bastonata in faccia.
La visuale dall'alto e lo sfondo psichedelico pulsante rendono il tutto un'esperienza di un certo spessore stupefacente. Ad accompagnarci nella nostra avventura avremo la nostra fidata macchina e un girone di puttane, tossici e proprietari sfigati di negozi che ci offriranno roba gratis da mangiare/bere/vedere.
Roba che inizi a giocarci e poggi il joypad che sono passate tre ore e mezza, hai l'udito fuori uso e la tua donna ti ha lasciato con un barbiere di Bogotà.
I miei applausi al team dietro questa piccola, deliziosa opera d'arte.
Benvenuti ad una nuova puntata dai livelli di stress altissimi, che solo a leggerla viene il fegato amaro. Benvenuti a Game Over, il tempio della frustrazione video ludica.
Oggi, tuttavia, la rubrica sfonderà i confini degli schermi per atterrare nel periglioso, pericolosissimo territorio dei giochi da tavola. Essi, fieri accompagnatori dell'uomo fin dagli albori della civiltà, hanno perseguito con dedizione la loro missione: distruggere i rapporti sociali.
Avete una famiglia che si ama? Fatela giocare a Monopoli. Avete un gruppo di amici particolarmente affiatato? Fateli giocare a Risiko.
La rubrica continuerà con il presupposto che i lettori conoscano Risiko, famoso gioco di strategia e conquista. Se non conoscete il suddetto spegnete il vostro computer, ingoiate del cianuro, recatevi sotto il cespuglio più vicino e aspettate la morte. Nei tempi d'oro della mia giovinezza ci vedevamo spesso a casa di Alberto, che tornava particolarmente comoda poiché in pieno centro storico. Posso descrivere Alberto, caro amico, come Branduardi descrive il diavolo: è mancino, meschino e suona il violino. Alberto vanta un incredibile collezione di giochi da tavola, ma proprio con Risiko egli scatenava tutto il suo mastodontico, prodigioso culo. Difatti, dopo le prime frustranti sconfitte, venne messa in pratica la tacita regola del “tutti contro Alberto”.
Non servì a nulla. Io, il Franz e Francesco venivamo lasciati sconfitti a galleggiare in un mare di bile.
Alberto poteva resistere a qualsiasi attacco. Alberto poteva conquistare il mondo partendo dal Madagascar. Alberto aveva una ghiandola, vicino al polso, che secerneva le carte giuste per ricevere truppe bonus. Un esempio di tiro VERAMENTE SFORTUNATO di Alberto con tre dadi era: 6, 5 e 4. Per farvi capire. Per darvi un'idea di cosa io e Francesco abbiamo dovuto subire. Cinzia, la mamma di Alberto, ci vedeva abbandonare la casa con gli occhi rossi, le facce stravolte e i capelli spettinati. Con ogni probabilità la povera donna avrà pensato ad una precoce dipendenza dagli oppiacei o dagli psicofarmaci. E come biasimarla? Come poteva sospettare di aver portato in grembo la più formidabile macchina macina punti della storia?
Ricordo che ce ne andavamo sempre a giocare nel seminterrato, dove nessuno poteva sentirci urlare. Una volta ero appena riuscito ad ottenere un incedibile bonus da tipo quaranta carri armati. Ero ebbro di potere.
Ero giovane. Avventato.
Anni di frustrazione mi portarono a fare quello che mai e poi mai bisogna fare in Risiko: lasciarsi andare alla furia. Misi tutti i carri armati su di uno stato e, puntando il dito contro Alberto, dissi con voce di tuono: AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH CHI RIDERÀ ADESSO?
Alberto non disse nulla, sorrise dietro alle lenti degli occhiali e afferró i dadi.
Avevo 51 truppe. Lui cinque.
Quello che ne seguì fu uno scontro epico, un gioco di energie devastante. Le pareti della casa di Alberto sono ancora annerite dalla mia rabbia.
Vinse lui.
Affogai le mie tristezze con il vino. Tanto vino. Quando mamma mi vide ubriaco mi fece la domanda di rito: Ma perché ti riduci così?
Buongiorno a tutti voi poveri stronzi che, alle undici di mattina, non hanno niente di meglio da fare che stare dietro alle disavventure alimentari di un povero beota. Dopo questo incipit positivo e pieno di brio inoltriamoci senza indugi nella quindicesima puntata di Mattia vs Food, la rubrica famosa in tutta Ponte Felcino e quartiere Fontivegge. Oggi parleremo del grande record battuto da me e Jack: consumare un pranzo a base di prodotti scaduti, non battere ciglio e cagare solido.
Ma dobbiamo tornare indietro nel tempo: Sono i ridenti anni dell'Accademia di Belle Arti e, come al solito, io e il buon Jack ce ne andiamo a pranzo a casa di mio padre. Frugo nel frigorifero e trovo i soliti ingredienti tipici dell'uomo single: uova, Simmenthal, pomodori pelati, paté chimici e bibite di sorta.
In una pentola butto la Simmenthal, paté di carne, il pomodoro, alcune spezie oscure di contrabbando e, per ultimo, l'uovo. Il risultato è sorprendente: spezzatino di cinghiale, di quello buono fatto in casa. Di quello che ti servono alla trattoria per cacciatori abbarbicata sul costone roccioso di una montagna impervia, con tanto di avventori vestiti mimetici. Che puzzano ancora di polvere da sparo e sottobosco.
Io e Jack ridiamo della scoperta fortuita e ci ingozziamo avaramente della sbobba immonda, bevendo alcolici e bibite sgasate. Inebetiti dai conservanti e coloranti di ciò che avevamo appena cucinato, nonché dall'alcool di pessima qualità, decidiamo di riprodurre il miracolo ma falliamo miseramente. E lì ci accorgiamo della cosa: le uova utilizzate nella precedente ricetta erano scadute da una settimana. La Simmenthal pure da prima. Il paté era praticamente un residuato della Grande Guerra. Un nero terrore ci avvolge come un presagio e rimaniamo seduti al tavolo a parlare del più del meno.
Fumiamo. Aspettiamo. Ridiamo. Aspettiamo.
Abbiamo in volto quell'inquietudine sottile di chi sa di averla combinata grossa ma vuol fare finta di nulla. Praticamente, aspettiamo che un violento spasmo addominale ci faccia cagare addosso ma, miracolosamente, non succede nulla. È il fatto non stupisce più di tanto nel mio caso, vista la mia capacità di digerire l'asfalto, ma nel caso di Jack, che di solito mangia miglio come i canarini. Quello se mangia qualcosa più pesante del prosciutto gli viene la gastrite.
E invece? Sopravvissuti. Un pomeriggio strano. Una ricetta creata per sbaglio che mai più siamo riusciti a ricreare. Lo spezzatino di cinghiale più buono della Terra, mio Dio. Perduto.
Buongiorno miei dolci Hell's Angels. Benvenuti alla ventitreesima puntata di una delle prime rubriche apparse su HATE. Stiamo parlando ovviamente di Piero da Pollo's, dove si narrano le gesta di Piero, ragazzo ventiseienne aspirante manager in una catena di ristoranti londinesi a base di pollo. Nonostante sia scritto in prima persona, ci tengo a sottolineare come ogni riferimento a persone o catene realmente esistenti sia da considerarsi puramente casuale.
Assolutamente casuale.
La puntata di oggi sarà strutturata in modo un po' diverso rispetto alle precedenti: oggi raggrupperò alcuni eventi brevi ma divertenti. Roba che, da sola, non avrebbe avuto la forza di reggere una puntata da sola. Ma, come tutti sanno, l'unione fa la forza e qui una volta c'era tutta campagna e governo ladro e non ci sono più le mezze stagioni.
1) Mi avvicino ad un tavolo. Ci si sono appena seduti quattro ragazzi e io, come di rito, gli chiedo “siete mai stati da Pollo's prima?” Il ragazzo, sorridendo, risponde: “Coca Cola”.
2) Porto due quarti di pollo (entrambi petti) ad un cliente e suo figlio. Dopo un po il padre torna da me e mi fa “avevo chiesto il petto”. Io gli guardo il petto che giace nel piatto e gli faccio “quello è un petto, signore”. Lui, indispettito: “le altre volte sembrava diverso”. Io afferro i due piatti (quello suo e del figlio) e li metto vicini. Le sembrano diversi i due petti? L'uomo non risponde.
3) Cliente italiano alla cassa. Lo vedo arrancare sul menù discutendo con la compagna. “Posso darvi una mano, ragazzi?” Loro mi guardano stupiti. “Ah ma parli italiano?” “No, sto tirando ad indovinare parole e grammatica.”
4) Porto un piatto ad una cliente e, come al solito, le descrivo cosa gli ho portato per vedere se manca qualcosa: “quattro porzioni di pollo Hot con patatine e patata schiacciata”. Lei mi guarda sorridendo e mi dice: “io veramente sto aspettando quattro porzioni di pollo hot con patatine e patata schiacciata”.
5) Sto cuocendo del pollo sulla griglia. Una cliente entra e mi fa “fuori fa freddo da morire, posso sedermi sul grill un attimo?” “Temo prenderà fuoco, signora”.
6) Sto servendo alla cassa. Si avvicina un'anziana signora inglese, elegantissima e sorridente. “Come posso aiutarla signora?” “Vorrei comprare una bottiglia di vodka.”
7) Arrivano alla cassa due ragazzi giapponesi. Sono una coppia gay. Ridono e scherzano e, fino a pagamento avvenuto, non fanno altro che tirarsi gran pacche su culo. Ad ogni pacca l'altro risponde con un gridolino di eccitazione. Io sudo e provo profondo disagio.
8) Undici e quarantacinque della mattina. Entra una ragazza vestita da mucca, compra delle patatine take away e se ne va.
9) È sera. Si siede un numeroso gruppo di ragazzi in giacca e cravatta. Noto solo poi che il leader del gruppo è vestito da Peter Pan. 10) Entra una ragazza. È travestita da zombie in pigiama. Io mi comporto come se fosse vestita normale e lei si indispettisce.
Per oggi è tutto, miei cari. Ci si vede alla prossima puntata per un'altra dose di succulenta carne bianca. Baci sul culo a tutti.
Benvenuti, dolci batuffoli di cotone. Benvenuti alla rubrica dedicata ai nervi tesi, agli spaventi e alle pupille dilatate. Oggi parleremo del grande, profondo terrore che mi aspettó il mattino del mio ventunesimo compleanno.
Una piccola premessa è dovuta a tutti voi: Jack, l'amico mio, aveva un cane piccolo e cattivissimo, Nina. Quel cane mi odiava. Tanto. Mi abbaiava contro e mi ringhiava ogni santa volta che varcavo la soglia dell'appartamento di Jack. Quasi mi sbranó quando mi alzai dalla sedia con troppa foga. Una sola volta riuscii ad accarezzarlo senza essere assalito. Il tutto è immortalato in un raro reperto fotografico in cui non solo appaio felicissimo, ma anche con molti più capelli.
*fine premessa doverosa*
Ok. Ventunesimo compleanno. La serata ideale che mi ero promesso era: una bella cena in compagnia di parenti e amici, un buon bicchiere di vino (senza esagerare) e poi via a nanna, che ormai sono grande e responsabile.
Ore 01:45 di notte, Corso Garibaldi: Io, Jack e il Brad risaliamo il corso barcollando, perché siamo ubriachi di assenzio. Io cammino malissimo, e infatti Jack e il Brad mi sorreggono ai lati. Cerco di bere il mio ultimo bicchiere ma, devastato dall'alcool, lo getto per terra lasciando una lunga scia per il corso.
Perdiamo il Brad per strada (non ricordo che fine fece) e riusciamo miracolosamente a raggiungere casa di Jack. Il buio. Non ricordo più nulla.
Ore 11:45 di mattina - Casa di Jack
Mi sveglio in un luogo che non riconosco subito. Sono in un letto matrimoniale. La prima cosa che vedo appena apro gli occhi è una folta chioma riccia. “Porca Troia, che cazzo ho combinato? Chi è sta tipa?”, mi chiedo. Sento un peso sulle gambe, alzo la testa.
È Nina. Assolutamente inespressiva ed immobile.
Io ovviamente non muovo un muscolo. Non parlo, ho paura che la belva mi salti alla gola se provo ad emettere il minimo suono. I suoi occhi, neri e lucidi come quelli dei serpenti, mi scrutano e scavano nella mia anima, alla ricerca delle mie paure più recondite. I suoi denti piccoli e bianchi brillano nella penombra della stanza. Mi sto per cagare addosso, lo so. Mo mi viene un coccolone e crepo. E invece no. Lo stillicidio prosegue interminabile, per non so quanto tempo. Lei che mi guarda e io che la guardo e ho paura persino a deglutire.
Aspetto pazientemente che Jack si svegli da solo, anche lui con un dopo sbronza da manuale. Lui ammansisce il demone con un'offerta di würstel Conad e io sono finalmente libero dalla sua morsa malvagia.
Festeggiamo la mia vita risparmiata concedendoci un pranzo di compleanno in compagnia dei miei, di altro vino e alcolici ammazza caffè. Nuovamente ubriachi ci avventuriamo nel percorso verde di Ponte Felcino, prendendo il sole su di un grande sasso e costruiamo un arco Con un vecchio ombrello.
Perché ho scritto Investigazioni Pernice
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Molti hanno paura che l’Intelligenza artificiale distrugga posti di
lavoro.Io invece credo che NIENTE come algoritmi, formule, prassi,
protocolli ammazzino...
Test per capire se siamo ancora scrittori in vita.
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Non nascondiamoci dietro un dito: il fumetto seriale italiano ha un
problema a monte e quel problema si chiama "scrittura". Poco ricambio
generazionale, ...
Agosto
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Come potete immaginare, vengo da un periodo in cui non ho avuto il tempo
nemmeno per cagare. Finalmente, però, con agosto mi prendo un po' di
vacanza.
Que...