venerdì 4 luglio 2014

SPAVENTI IMPORTANTI # 11: IL BRANCO



Benvenuti al Club dello schizzetto nelle mutande. Questo ricordo è affiorato alcuni giorni fa, mentre stavo facendo ricerche su veleni vegetali. Chissà come mai il mio cervello ha fatto un’associazione del genere. Quel che ricordo di questa disavventura è abbastanza sfocato e vago, perché ero molto piccolo, ma ricordo benissimo il terrore.
Esso, come potente acido, ha impresso quell’avvenimento nella memoria. E, come un cadavere in un lago, ogni tanto riemerge spaventandomi.

Ero andato con la mia famiglia a trovare dei loro amici che avevano una grande casa in campagna, immersa in una specie di brughiera nebbiosa.
Non ricordo la località. Ricordo che stava scendendo sera, e l’aria era pungente.
La casa era un possente casolare di pietra scura, strozzato dai rampicanti e popolato di animali. Io me ne sto seduto in un salotto di legno, annoiato in mezzo ai grandi che parlano di cose da grandi.
Quand'ecco che una grossa falena mi passa davanti agli occhi. Ubriaca vola per la stanza e infila la porta semiaperta. Io guardo mamma e lei con lo sguardo mi fa capire che sì, potevi uscire fuori a giocare.
Rincorro la gigantesca falena per le scale di pietra fino all’aia di sotto, tutta lucida e bagnata di nebbia.
Corro, saltello, rotolo fino al lato della casa, affacciato su di un piccolo dirupo. Ero, diciamo in un vicolo cieco: a destra il dirupo, a sinistra il muro della casa e di fronte a me una legnaia, costruita proprio sull’orlo del precipizio.
La falena volteggia sopra la mia testa e plana verso il dirupo, interrompendo il gioco.
Mentre la guardo sparire tra le ortiche sottostanti un ringhio basso e gutturale attira la mia attenzione.
Mi giro con gli occhi sgranati e la bocca aperta.




Davanti a me c’è un cane nero. Un grosso cane nero.
Il mostro inizia ad abbaiare possente, io chiamo mia madre ma il verso del mastino è tanto forte che è come se fossi muto.
Dalla nebbia emergono altri tre cani, due dobermann e un bastardino piccolo, anche lui nero.
Tutti ringhiano scoprendo i denti, fermi come statue nella bruma.
Io non so casa fare. I loro latrati coprono le mie urla e il tempo si dilata in un gigantesco, orribile incubo.

E qui il ricordo si interrompe.

Il ricordo successivo raffigura me davanti alla porta del casolare che piango, mia madre che mi stringe a se.
Non ricordo come me la sono cavata. Cosa è successo tra me e il branco.

Ricordo che avevo la febbre, però.

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