domenica 6 luglio 2014

PIERO DA POLLO'S # 16: NON È CHIARO CHE VENDETE POLLO



Benvenuti, lettori affamati, alla rubrica che sazierà tutti i vostri appetiti. Per soddisfare le vostre richieste al meglio imposterò la mia narrazione in una rigorosa prima persona, cogliendo tutte le ansie e frustrazioni del giovane Piero, ragazzo italiano a Londra che somiglia a me, ma non è me.

Da breve tempo ho iniziato l’apprendistato come manager nella catena di Pollo’s. Il nuovo incarico è sì più stimolante a livello cerebrale (in quanto mette alla prova le tue capacità organizzative e di concentrazione), ma essere manager comporta anche dover risolvere TUTTI i problemi della clientela di Pollo’s.
Clientela famosa per essere un esercito di dementi, maleducati e puttane. Un’ignobile massa umana che non merita l’aria che respira.

Insomma è domenica sera e due turisti americani entrano nel ristorante. Sembrano entrambi molto gentili, lei ha una folta capigliatura riccia rosso fuoco.
Fanno simpatia, così, a pelle.
Si accodano alla lunga fila in attesa di ordinare. Scelgono due hamburger di pollo e vanno a sedersi.
Dopo una decina di minuti gli hamburger sono pronti e, insieme ad una montagna di patate fritte, vengono portati al tavolo da un membro dello staff.
Io sono in piedi vicino al tavolo, abbastanza vicino da vedere la faccia della tipa contrarsi in una smorfia di disgusto e subito protestare: “Ma questo è pollo! Io detesto il pollo!”

Io, incredulo, cerco di origliare la conversazione.
Il membro dello staff gli dice qualcosa tipo “Certo che è pollo, siamo da Pollo’s!”
Lei: “Ma sul menù non è chiaro che si tratta di pollo!”

Alzo lo sguardo al cielo. Davanti ai miei occhi l’insegna luminosa del ristorante. Il simbolo della catena, un gigantesco pollo, mi guarda con occhi carichi di comprensione.
Subito appare il Maestro, avvolto da una nube di pazienza, umiltà e rispetto.
“Piero non farlo”.
Mi accorgo che il Maestro mi ha letto nel pensiero, anticipando la mia intenzione di porre fine alle sofferenze della poverina sfondandogli il collo con la gamba di una sedia.
“Maestro ma come...”
“TACI PIERO. SON PUR SEMPRE IL MAESTRO.”
“Maestro ma questa mentecatta vuole avvelenarmi la serata con la sua ottusa stupidità!”
“Porta pazienza, Piero. Accostati alla signora e chiedile a cosa è dovuto il fraintendimento.”
“Ma... Maestro...”
“OBBEDISCI, PIERO.” Ordina il maestro con voce ferma, e svanisce in una nuvola di Hapkido.

Io, applicando le tecniche di respirazione apprese durante sette anni di arte marziale, calmo i miei nervi e mi avvicino all’imbecille.
“Cosa succede, signora? Posso aiutarla?”
“Sul vostro menù non è chiaro che si tratta di pollo.”
Io guardo il menù. Una bella scritta in grassetto recita “Hamburger di petto di pollo”.
Provo ad immaginarmi una cosa più chiara e didascalica di quella. Fallisco.
Rivolgo lo sguardo alla menomata mentale e lei ha il tipico piglio battagliero dei clienti che vogliono cibo gratis.
Le dico: “A me sembra abbastanza chiaro che si tratta di pollo. Vede?”, dico indicando il menù, “è per questo che abbiamo scritto la parola pollo.”

Lei si indigna e io, di tutta risposta, lascio che la mia general manager si occupi della prostituta in questione.
Le offre l’unico piatto di carne che abbiamo, un panino con una bistecca dentro. Lei, la mignotta, sorride. Ha vinto.

“Il mondo è ingiusto, Maestro”, dico con gli occhi rivolti al cielo.

Nessuna risposta.

Io, avvolto nell’ombra della sera, guardo quell’ammasso di merda mangiare il suo panino. 


E dolce m’è immaginare 
tutti i modi in cui ci si può strozzare.


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