domenica 25 maggio 2014

MATTIA VS FOOD # 5: LE ZEPPOLE CON LE ALICI



Mia nonna è, come ogni donna del sud appartenente alla sua generazione, una cuoca eccezionale. Eccezionale significa che sfama ogni volta (si parla spesso del periodo natalizio) sette figli, sette nipoti, mogli e mariti dei figli e amici imbucati d’improvviso, per un totale di persone che si aggira spesso attorno a 25 / 30.
Mi hanno raccontato che mia nonna impastava 120 uova con un braccio solo. L’ho vista sollevare un armadio da sola. Il suo bicipite ha le dimensioni di un melone.
Mia nonna ha le palle, insomma.
Fra tutti i manicaretti che la suddetta sforna per sfamare il Clan, il mio preferito sono senz'altro le zeppole. Le zeppole non sono altro che la pasta della pizza (da sola o condita) fritta nell’olio.
A casa si mangiano solo e soltanto in tre versioni: semplici, al baccalà e alle acciughe.
La preparazione delle stesse è sempre un po' uno spettacolo: Nonna prepara una quantità illegale di pasta, utilizzando l’aiuto di una betoniera da cantiere. Quindi piazza al centro del garage sotto casa un enorme fornello alimentato ad energia nucleare e si dedica alla costruzione, attorno ad esso, di un bizzarro fortino fatto di lamiera.


Ecco, tipo.


Una volta che l’olio è caldo, nonna entra nel fortino e nessuno la vede più per ore. Esce molto tempo dopo tutta sudata e unta, i capelli appiccicati al cranio dall’olio vaporizzato.
Visto che nessuno può avvicinarsi a lei per via della puzza, la costringiamo a farsi il bagno in una vasca piena di idraulico gel e acqua di lavanda, mentre tutti gli zii la spazzolano con la carta vetrata.
Finalmente, una volta purificata nonna dai demoni della frittura, le zeppole vengono portate in tavola e il Clan ci si getta sopra con versi da suino.

Il mio problema arriva con quelle alle acciughe. Loro hanno guadagnato senz'altro la medaglia d'oro delle olimpiadi dei piatti con cui non riesco a fermarmi, sentendomi male.
Non posso. Semplicemente non posso. Da fan delle acciughe e da fan del fritto in generale, io non posso.
Ogni volta che ne sento anche solo l’odore gli occhi mi si ribaltano e inizio a parlare nell’oscura lingua di Mordor.
Una volta nonna mi chiama dal garage, che gli serviva una mano per portare su la prima vagonata di zeppole.
Quando la raggiungo di sotto noto subito che la teglia ha le dimensioni di una Fiat Punto e, da sotto il telo, un profumo intenso di zeppole con le alici.
Nonna esce con mezza desta dal bunker e una zaffata di olio e fritto ammorba l’aria, facendo appassire le piante della vicina.
Mi guarda e mi riconosce. Non voleva chiamare me. Lo sa cosa succede quando mi affida delle zeppole.

Dovete sapere che mia nonna, complice il fatto della numerosa famiglia, si sbaglia sempre non solo con i nomi dei figli, ma anche con i nipoti.
Capita quindi spesso che mi saluti dicendo “ciao, Livio”, mentre Livio è mio cugino che vive a Bologna.

Comunque nonna si accorge che aveva detto il mio nome ma probabilmente voleva chiamare tipo Michele, altro mio cugino, e subito l’espressione gli si fa scura.
“Che è nonna?” gli faccio io, fingendo di non capire.
“Non mangiarle.”, mi fa lei, lapidaria.
“No che non le mangio, nonna.”
“Giura”
“Giuro”
Giro l’angolo e, a metà strada fra il garage e la porta di casa, mi infilo nell’ombra e inizio ad infilarmi le zeppole roventi in bocca, scottandomi.
Una visione degradante, inquietante e avvilente.
Un uomo di merda, infrangi promesse e spezza-cuori-di-nonne.

Ma non è colpa mia.

Sono le zeppole. 

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