mercoledì 26 febbraio 2014

SPAVENTI IMPORTANTI # 3 : IL GOBBO DEFORME



Benvenuti ad una nuova puntata della neo nata rubrica di casa HATE. Spaventi Importanti è orgogliosa di presentarvi i lieti eventi che si verificarono in un campeggio sardo parecchi anni fa. Ero in vacanza con mia madre, mia sorella e un amica di mia sorella. Il campeggio era fantastico, avevamo affittato un bungalow e ci eravamo subito fiondati, come spesso capita ai gggggiovani in vacanza, al bar dello stabilimento. Lì conoscemmo una sequela di personaggi davvero interessanti, fra cui spiccava quello che fu subito soprannominato il “Drinking Team”, costituito da due ragazze toscane che bevevano come una squadra di vichinghi inferociti.
E Viktor, un ragazzo polacco che, quando era ubriaco (cioè spesso) si addormentava a faccia in giù sugli scogli.

Altra personcina degna di nota era Jordan, un ragazzo di Bolzano con un ciuffo fisso davanti agli occhi e una sigaretta spenta perennemente appesa alle labbra. Parlava strascicando le parole, svogliatamente, e diceva sempre “Zio”. Sembrava uscito da un cazzo di fumetto di Andrea Pazienza.
Diventammo amici e, il giorno dopo, lui mi fa: “Oh zio ma perché non facciamo after?”
E io che ero ancora imberbe gli chiedo cosa fosse questo misterioso l’after. Lui, scostandosi il ciuffo con un movimento secco della testa all’indietro, risponde: “Zio vuol dire che non si dorme e vediamo quanto si dura.”
“Ok.” Risposi io senza sapere di quali meraviglie la mente umana è capace quando il sonno scarseggia.

Andammo avanti i primi due giorni senza particolari problemi, a colpi di docce fredde e cornetti caldi alle sei di mattina, non appena il bar apriva. Il terzo giorno iniziavo a sentirmi male, e avevo dei dejavu.
Il quarto giorno fu davvero difficile, perché ci facevano male i muscoli e avevamo spesso davanti agli occhi delle piccole luci rosa. Ci cimentammo nella costruzione di un vulcano di sabbia rudimentale la mattina dopo, stravolti dalla stanchezza. Poi costruimmo un totem. Al calare delle tenebre io ero l’ombra di me stesso, situazione che cercherò di riassumere nella seguente diapositiva:



La sera del quarto giorno me ne sto sdraiato sul letto, cercando di non dormire ma senza la forza fisica di alzarmi. Quand’ecco, chiaro e forte, il rumore di qualcuno che picchia con un bastone sulle pareti di legno del bungalow. Io alzo la testa di scatto e una fitta di dolore mi si impossessa del collo. Guardo, con gli occhi sgranati, la bocca aperta della finestra. Fuori pini marittimi, cicale e quel maledetto rumore che si avvicina.

Di più. 

Sempre di più.

Ed ecco che un uomo orrendamente gobbo e deforme passa velocissimo davanti la finestra, sparendo in un attimo. Io sono pietrificato, poi però penso che di là ci sono mamma e mia sorella. Decido di agire.
Afferro la spada di legno accanto al letto (me l’ero portata per allenarmici in spiaggia, sotto consiglio del mio Maestro) e mi lancio a pesce dalla finestra aperta. Atterro sulla sabbia e subito mulino la spada intorno a me, ma del gobbo oscuro nessuna traccia.
Poi di nuovo, le luci rosa davanti agli occhi. E lì capisco. Allucinazioni. Fottute allucinazioni, visive e uditive.
Mi trascino, sconvolto, nella casa delle due ragazze di Firenze, decidendo di affogare le visioni in un bicchiere di succo di ananas e liquore al cocco. Poi crollo addormentato con la testa appoggiata alle gambe di una delle due, che mi stava in quel momento parlando. 
Quando apro gli occhi, non so quanto tempo dopo, la prima cosa che vedo è la faccia di Jordan.


“Hai perso, Zio.”

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