lunedì 24 febbraio 2014

CRONACA DI UNA SERATA A BASE DI FOGLIE


Si dia il caso che un bel giorno, tramite dinamiche che non vi sto a raccontare, mi viene proposto di curare la sezione grafica di un’iniziativa sull’amore ad un locale di Perugia. E con sezione grafica si intendeva metter su carta una valanga di luoghi comuni a proposito del sentimento più amato e odiato della Terra, in modo da appiccarli alle pareti e quindi permettere a tutti gli avventori del locale di avere qualcosa da guardare durante le bevute.

Quando mi viene chiesto dall’organizzatrice “conosci qualcuno che mi possa fare da tecnico luci / tecnico del suono?”, io penso immediatamente al mio povero amico Jack, famoso per aver avuto un passato da roadie in palchi più e meno famosi in tutta Italia.

La scelta viene fatta e ci ritroviamo, io e il povero Jack, il pomeriggio stesso a dover organizzare la cosa. Decidiamo insomma di iniziare la nostra avventura come ogni serio professionista inizia una giornata lavorativa: con l'assenzio.
Al bar del centro, dove ci conoscevano bene, appena entriamo il barista già predispone bicchieri e cucchiai per lo zucchero.
Forti del verde alcolico tanto caro a Baudelaire, ci inerpichiamo per le anguste vie perugine fino a raggiungere il locale. Che era anche un bar, fra le altre cose.
Non appena vediamo il bancone ci sentiamo subito in dovere di mettere in chiaro con i proprietari l’altissima levatura morale e la profonda professionalità che ci contraddistingue. 

Ordiniamo quindi un Negroni a testa.

Eravamo preparatissimi alla serata: io avevo buttato giù una ventina di disegni a china e Jack... Beh, Jack aveva bevuto un assenzio ed un Negroni.

Ora è mio dovere dilungarmi brevemente sul fatto che mio padre è sempre stato una persona fortemente legata a momenti proto artistici in cui si diletta a creare oggetti ornamentali utilizzando ad esempio sassi, o rami, o vetri. Quello era il periodo delle foglie. Avevamo foglie dappertutto a casa. E con dappertutto intendo a livello letterale (ho numerosi testimoni se non ci credete): nel frigo, sul pavimento, sui tavoli, appese con adesivi alle mensole e in ogni libro presente nell’abitazione. Talmente sembrava patologica la presenza di fogliame rinsecchito nella casa che avevamo iniziato a scherzarci sopra, ad immaginare le storie più strane sul perché di quella strana mania, a ridere non appena ne vedevamo una.

Insomma siamo ancora al bancone facendo i professionali con il secondo Negroni quando mio padre entra nel locale. E fin li nessuna sorpresa, sia io che Jack sapevamo che anche lui doveva prender parte alla manifestazione, recitando poesie di Neruda in spagnolo.
Notiamo però che stringe al petto un sacco di plastica nera sigillato con scotch da pacchi. 
“Che c’hai la dentro, pa?”, faccio io.
E lui, secco: “FOGLIE.”, e sparisce.

Io, ancora incredulo, mi giro verso Jack che nel frattempo aveva iniziato a ridere come mai più l’ho visto fare. Di quelle risate mute, piangeva copiosamente ed assumeva via via un colore bianchiccio. Io all’inizio non mi allarmo più di tanto, che Jack ha sempre avuto sto colore un po' malsano, probabilmente dovuto alla sua dieta a base di nulla, aria e Pall Mall Blu. Dopo un po' faccio due più due e capisco che il colorito del mio prode amico è dovuto all’assenza di ossigeno nel sangue. Sorrido nervoso e gli appioppo un paio di sonore pacche sulla schiena, ma lui niente. La ragazza dietro al bancone inizia ad allarmarsi, che Jack ha lo stesso colore dello stucco in pasta.
Fortunatamente alla terza pacca il mio incosciente amico riprende a respirare, risparmiando a me e alla cassiera di chiamare il Pronto Soccorso. O il becchino.



La serata si protrae alcolica e, a concludere l’esperienza, l’organizzazione della serata ci trascina in un ristorante dove il vino e il limoncello hanno su di noi lo stesso effetto delle banderillas sul toro morente.

La notte scese fredda su Perugia, cogliendo me sulle spalle di Jack. Stavo provando a scalare un muro aggrappandomi ai tubi del gas. Quelli di rame piccini. Jack mi fece notare che era pericoloso. Io, di risposta, lo colpii di tacco, come si fa con i cavalli indisciplinati.

Perdonami, amico mio.
Non meritavi quelle speronate.
Era davvero pericoloso, e potevamo saltare in aria entrambi.

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