giovedì 9 gennaio 2014

ZOMBIE LAB - SCIENCE MUSEUM


Ecco. Io me ne stavo tranquillo sulla metro andandomene al lavoro, quando vedo 'sto manifesto appeso al muro. Inizio a sudare e ad agitarmi. In che senso Zombie allo Science Museum? Perché non l'ho saputo prima? Perché è gratis? Perché sono ancora qui e non sono già in coda per entrare?

Uno dei tanti motivi per cui amo questa città. Le iniziative che in Italia sarebbero state a malapena supportate da qualche squallido sponsor, e ovviamente con l'entrata a pagamento, qui a Londra sono ospitate da uno dei musei più famosi al mondo, gratis, con esperti dall'Inghilterra (e dal mondo).
Per parlare di zombie e di come ci comporteremmo (e ci dovremmo comportare) in caso di apocalisse zombie. Ripeterò per i più distratti:

ZOMBIE E APOCALISSE ZOMBIE

Inutile dire che tipo il giorno dopo io, la mia ragazza e il buon Rossano eravamo lì dentro.
Questo il programma:



Ora è mio dovere dire che tutto era interessante, e notai con piacere che l'evento non era frequentato solo da nerd brufolosi, ma anche da anziani, professori, mamme con bambini eccetera.
Le attività erano esilaranti e ben organizzate. Soprattutto la mia preferita:
Veniamo stipati a gruppi di una ventina di persone dentro una stanza semi buia piena di tizi in camice, guanti e maschere protettive. Armati di manganelli luminosi. Terrificante.
Insomma ci informano che c'è stata un'emergenza zombie, ma che possiamo stare tranquilli, gli infetti sono stati presi in custodia e tutto è sotto controllo.
Per routine, continua a dire il tizio, dobbiamo fare dei controlli motori e di concentrazione per verificare se siamo infetti o no, e così ci danno dei ticket con cui dobbiamo dirigerci ai vari settori per fare i test, e di conseguenza ricevere uno stampo di approvazione sul ticket. Se ricevevi tutti e quattro gli stampi eri salvo. Il problema è che da una cazzo di stanza iniziano ad uscire zombie. In mezzo a noi. Attori bravi, credibili.
Uno di loro, caracollando, afferra un ragazzo che strilla. Subito scattano le guardie con i manganelli luminosi e lo afferrano.
Il ragazzo, spaventato, urla "NON MI HA MORSO! NON MI HA MORSO!" come nei migliori film.
Ma ormai è tardi. Lo trascinano dentro una stanza e nessuno lo vede più. Non sto scherzando.
Io sto al mio primo stampo quando ecco che la porta si apre ed esce il ragazzo di prima. Ha una maschera bianca in volto, che brilla nelle tenebre. È infetto, e avanza verso di noi trascinando un piede. E così ha inizio.
Il tutto tangibile, credibile, con tutti i partecipanti che si prestavano con serietà alla recita.
Non mi sono mai divertito tanto in vita mia.
Mi manca uno stampo quando portano dentro Rossano. Io so che, quando uscirà, farà di tutto per attaccarmi, lo stronzo. E infatti quasi riesce ad afferrarmi. Mi sfiora la tracolla. 

Le guardie scattano.

E io, come il primo infetto, accampo scuse: "NO! NO! NON MI HA MORSO! HA TOCCATO LA TRACOLLA! DI STRISCIO!"

Ma ormai è tardi. Le guardie sono su di me. Sparisco nella stanza, come tutti.

Poi altra attività, il tribunale: Una ragazza, durante una passeggiata, si ritrova in mezzo all'apocalisse zombie con il suo ragazzo e, per salvargli la vita, sfracella il cranio di una zombie con una mazza da baseball. 
Il Museo lascia decidere il fato della tizia alla giuria popolare, fornendo tutte le prove del caso, dai profili psicologici al video dell'accaduto agli articoli del codice penale.

Una giornata meravigliosa, davvero. Ma il mio plauso va agli attori ingaggiati dall'associazione per fare gli zombie che, liberamente, vagavano per la struttura. Da Oscar.
Tanto per farvi un esempio: Stavo girando per il Museo quando mi accorgo di aver perso Francesca e Rossano. E quel corridoio era stranamente sgombro di gente. In lontananza vedo una figura bassetta, mi sembra Rossano. 
"Oh! Rossà!", urlo.
La figura si gira. Non era Rossano. Digrigna i denti e del sangue finto schizza dalla bocca e sporca il parquet del Museo.
Inizia a camminare verso di me trascinando una gamba. Fa paura. 
Io scappo e, non appena fuori dalla sua vista, mi nascondo dietro una teca. Quello passa, non mi vede, ma continua a recitare, ad annusare, a grugnire, a fare versi. Per lui potevo essere già fuggito dal Museo, ma il suo lavoro era quello, ci credeva. Lui era un cazzo di zombie, e voleva mangiarmi.

Ci credeva, ci credeva davvero. Ecco dove sta la differenza.

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