venerdì 10 gennaio 2014

PIERO DA POLLO'S # 3

Benvenuti alla nuova entusiasmante puntata della rubrica più apprezzata d'Europa. Scriverò in prima persona per meglio immedesimarmi e perché me lo ha detto la voce che ho nella testa.

Era una giornata relativamente tranquilla e, dopo un pranzo abbastanza impegnativo ce ne stavamo a rassettare il ristorante, forti del fatto che di solito verso le due non c'è troppa gente. Quand'ecco la luce si oscura. Pensavamo stesse arrivando un temporale. E invece erano persone. I corpi di un centinaio di persone che impedivano alla luce di entrare dalla facciata del ristorante, fatta tutta a vetri.
Il mio manager si tuffa alla porta d'ingresso, temendo un'invasione da parte di una forza armata irregolare. Invece no. Tutt'altro.
Erano un gruppo della chiesa.
Ora, avete presente quelle chiese protestanti dove ci sono duecento persone di colore all'interno, che cantano le lodi del signore e battono le mani? Quello.
Con tanto di anziane signore con ventagli e cappellini, e reverendi, e quant'altro.
Io, insieme a tutto il resto dello staff, speriamo fortissimamente che il manager gli dica tipo vade retro, qui siamo satanisti, non ci pensate nemmeno che ci mettiamo a servire centocinquanta cristiani.
Però lui sorride. E il sorriso di un manager, di un qualsiasi manager, è sempre presagio di sventura.
Infatti la folla entra, muggendo. Come gli gnu del Re Leone. Un'orchestra, passando di li, caccia fuori gli strumenti e improvvisa una colonna sonora tragica. Il mio Maestro mi appare in visione, vede la scena, strabuzza gli occhi e scompare di nuovo.

E io sono li. Facendo sedere persone, prendendo ordini, cucinando, sudando, sanguinando. E nel frattempo penso a quale sia la professione della madre di Gesù.

Ad un certo punto chiedo aiuto ad un collega per servire un tavolo di 13 persone. Ci carichiamo la prima bordata di piatti e ci avviciniamo al tavolo.
Ma loro sono tutti ad occhi chiusi, e si tengono le mani. Bisbigliano qualcosa di incomprensibile.
“Ecco”, mi dico io, “ora evocano un Balrog di Morgoth e siamo tutti morti.”
Poi capisco che stanno pregando per il cibo che sta per arrivare.
Io e il collega aspettiamo in piedi una cinquantina di lunghi, surreali secondi, mentre una decina di persone si lamentano del cibo in ritardo. Quando il gruppo apre gli occhi, io e il mio collega siamo ancora li, sorridendo nervosi. Appena vedono il cibo iniziano ad alzare le mani al cielo, urlando al miracolo. Ed è lì che io scappo, terrorizzato da tanta isteria religiosa.
Vado quindi a sbattere su un cliente in fila. Una fila che si estende dalle casse fino alle scale del cesso. Che sta al piano di sotto.
Il manager urla, ma io non lo sento. Una collega scappa in cucina, ha gli occhi delle lepri ferme in mezzo alla strada, impietrite dai fari della macchina in arrivo. 
Un ragazzo in prova quel giorno chiede di andare in bagno tutto sudato. Risale su 30 secondi dopo, con lo zaino in spalla. Si era andato a cambiare di nascosto.
“MI DISPIACE!!!”, urla, e fugge dal locale.

Il resto della giornata è un incubo sfocato, in cui per servire i tavoli devo zigzagare fra persone che si abbracciano e si scambiano segni di pace.

L'ultimo a lasciare il ristorante fu il reverendo che, sull'uscio della porta, si gira verso di noi e sorride con la smorfia facciale tipica dei sadici o dei demoni.

“Torneremo”, disse.

Io, da allora, mi sono fatto installare una capsula di veleno su un molare.


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