venerdì 3 gennaio 2014

LE RECENSIONI DEL POLPETTONE: Paolo Conte al Southbank Centre


AVVISO: Questa non è una recensione oggettiva. Il mio giudizio è stravolto dal fatto che Paolo Conte è per me il massimo che si può ottenere da un palco o da uno schermo o da un'altoparlante. Lo ascoltavo nella pancia di mia madre e continuerò a farlo fino a quando vivrò. E lo voglio al mio funerale, quindi lo ascolterò anche da morto. Quindi, se state cercando una recensione accurata, che vi riporti la scaletta dei brani eseguiti, i nomi dei componenti della band e altre cose del genere, andate pure ad asciugare gli scogli o a giocare con gli orsi bruni.

Eravamo in cucina, mi pare di ricordare. Io, Francesca e Lucio. Lucio se ne stava ovviamente appiccicato al computer, immerso nel suo empireo fatto di social network e YouTube.
Ad un tratto, senza distogliere lo sguardo dal monitor, mi disse: “Oh ma sai che c'è Paolo Conte a Londra?"
"Quando?"
"Il 16”
“Quanto costa il biglietto?”
“40£”
“Francé, non prendere impegni il 16. Avremo da fare.”

La cornice del lieto evento altro non era che il prestigioso festival del Jazz londinese, nella splendida cornice del Southbank Centre.
“Francé non c'è niente di più raffinato di quello che stiamo per fare, sappilo”, dico io mentre ci dirigiamo lì, acchitato come un aristocratico dell'Ottocento.
“Anzi” aggiungo poi, “c'è una cosa più raffinata che andare a vedere Conte a Londra”
“Che cosa?”
“Vederlo a Parigi.”

Io fremo mentre le luci si abbassano, divoro noci al wasabi cercando di fare il meno rumore possibile. Entrano i musicisti e la sala si infiamma. Poi entra lui: il Maestro. Non guarda il pubblico, no. A lui non importa. Lui ha una questione aperta con la musica, una faccenda iniziata molto, moltissimo tempo fa. E fin quando ella,  la musica, non avrà regalato all'Avvocato il suo essere più intimo, egli non mollerà la presa, segugio in tuxedo affamato di storie. Continuerà ad assalirla, a morderla, a corteggiarla. Ad amarla. Perché pochi, pochissimi amano la musica come lui. Lo si legge nelle tessiture delle sue storie, nelle geometrie dei suoi quadri (chi non conosce il Conte pittore si organizzi o gli toglierò il saluto).
Comunque: La sala è molto elegante, le luci minimali, l'atmosfera perfetta. L'orchestra si muove come immenso animale e io non posso più descrivere cosa provai. Cosa ancora provo. Non ci sono parole. Non basta dirvi che il freddo pubblico inglese, a fine spettacolo, era in piedi in un applauso inferocito, che scuoteva le fondamenta della terra.
Però vi dirò questo, questo lo ricordo: durante l'esecuzione di Diavolo Rosso, si susseguirono gli assoli del fisarmonicista, del clarinettista e del violinista. Io non ho MAI assistito a nulla di simile. 

MAI

Ad un certo punto, mente il fisarmonicista voleva far crollare il soffitto, io pensai che quello che mi stava emozionando in quel momento poteva essere frutto della mia immaginazione, o della mia ammirazione per Conte. Quella musica, la bravura infiammata dei musicisti, quell'esecuzione ardente, bianco e tenebra assieme, mi stava spaventando. Come mi ha spaventato Shining di Kubrick. Come mi spaventano certi quadri di Francis Bacon.
Mi girai, quindi, a guardare attorno. Volevo capire se anche il resto del pubblico era scioccato da tanta bravura. E la platea era terrorizzata come me. Ipnotizzata. Sconvolta. Disturbata.
Allora capii che la musica, la VERA musica, è questa: È qualcosa che ti abita, ti terrorizza, ti fa sentire aggredito e derubato. La vera musica è uno sconosciuto che viola il tuo spazio intimo, ti spintona, ti strappa la maschera, ti piazza davanti uno specchio e dice, indicando il tuo riflesso:

QUELLO SEI TU

E allora un brindisi a monsieur Conte, per avermi insegnato ad aver paura dell'arte.

1 commento:

  1. Fantastica recensione, complimenti.
    w la musica che ti va, fin dentro all'anima

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