venerdì 6 giugno 2014

PIERO DA POLLO'S # 14: SPIRITO NELLE TENEBRE


Benvenuti, carissimi, nella rubrica preferita dal demone della frustrazione e dello stress.
Accorrete numerosi per ascoltare le nuove gesta di Piero, ragazzo ventiseienne che lavora in un ristorante londinese. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è, come potete immaginare, puramente casuale.
Come il fatto che io lo scriva in prima persona. Puro esercizio stilistico, null’altro.

Una delle parti più faticose dell’essere un apprendista manager è senz'altro quella delle delivery la mattina presto. Significa, in soldoni: 
Sveglia alle 05:15 / 05:25.
Caffè e pipì.


Controllo, nell’ordine, di: mail, blog che seguo, Twitter, google +, statistiche del blog, aggiornamenti disponibili per applicazioni varie.
Lavaggio corpo/denti.
Controllo maniaco/compulsivo che tutto sia in ordine per la giornata e tutti gli oggetti siano nelle solite tasche.
Uscita di casa alle 06:10.

Viaggio in metro di 17 minuti.
Arrivo al ristorante attorno alle 06:40 circa.
Lavoro d’ufficio fino alle 7, quando il tizio delle delivery dovrebbe arrivare.

Ecco, così è come dovrebbe andare.

Il giorno in questione, arrivo secondo i piani ma mi accorgo rapidamente che il tizio in questione è in ritardo di tipo un'ora.
Fa nulla. Mi occupo di scartoffie in ufficio, controllo le date, pulisco un po' in giro.
Ad un certo punto, preoccupato, mi affaccio fuori dalla porta. Il camion delle consegne è parcheggiato nell’ombra, una ventina di metri lontano dalla porta del ristorante. Faccio segno con la mano al tizio che, con lo sguardo perso, mi fa “arrivo!”.


Sale nel camion, e con una ventina di manovre riesce a fare inversione. Parcheggia davanti la porta, spegne il motore, ma non scende.
Io, stremato dalla lentezza del signore in questione, me ne torno nell’ufficio.
Dopo venti minuti, preoccupato, mi affaccio dalla porta.
Il camion è fermo, avvolto nella semi oscurità.
Strizzo gli occhi e, attraverso lo specchietto laterale, riesco a sbirciare nell’abitacolo. Quello che con sommo orrore vedo è questo:


Quel cazzo di psicopatico se ne stava avvolto dalle tenebre con gli occhi sbarrati, probabilmente vittima di qualche potentissimo incantesimo voodoo.
Mi faccio coraggio e mi avvicino all’abitacolo.
“Tutto bene, signore?” Chiedo, bussando sul vetro.
Lui, un tizio di colore pieno di tatuaggi da gang messicana, rinviene come se stesse dormendo.
“Si, sto bene. Arrivo”.
“Uh”, faccio io, “Ok”.
Il lento via vai del tossicodipendente, ciondolando con flemma devastante e con lo sguardo vacuo, è stata l’esperienza più impegnativa della mia vita, mentalmente parlando.
Avrei voluto svegliarlo con una secchiata di a un fredda, ma sono pressoché sicuro che sarebbe morto d’infarto.
Il tipo sparisce un’ ora e venti minuti dopo, gli occhi lucidi persi nel nulla, arraffando le carte firmate con movimento da bradipo.
Dai rumori, lo sento sferragliare fuori dalla porta chiusa.
Chissà cosa sta facendo.
Non importa. Non voglio saperlo.
Non voglio sapere che cosa si è fatto per essere così.

Spero di non vederlo mai più.

Nessun commento:

Posta un commento