domenica 13 aprile 2014

MATTIA VS FOOD # 2: CHILLI CON CARNE CON MORTE




Si dia il caso che la mamma di Jack, la Signora Paola, sia una cuoca eccezionale. Sia nella qualità che nella quantità. Dopo aver passato anni ad assaggiare manicaretti cucinati live o spediti al figlio (nel tentativo disperato di fargli mangiare qualcosa che non sia aria) posso tranquillamente certificare che il miglior piatto della Paola è il chilli con carne. Delizioso e con un contenuto calorico simile a quello di una balenottera azzurra. È uno di quei piatti che ti controllano il cervello e disattivano dentro di te quel fattore sopravvivenza che ti fa smettere di mangiare, impedendo quindi al tuo stomaco di esplodere.

Fatto sta che una bella sera io e Jack ci troviamo in quella situazione molto comune ai tempi, in cui io mi trattenevo a casa sua fino al tardo pomeriggio, lui mi invitava a cenare e concludevamo la serata in maniera bohémien, ossia devastandoci tramite alcolici di sorta.

Paola, il giorno prima, aveva cucinato il chilli nelle quantità tipiche di una madre abruzzese, ossia dentro una pentola simile ad una betoniera. Jack si serve una porzione ridicola, utilizzando delle pinzette per sopracciglia e un contagocce per il sugo, io mi lancio praticamente dentro la pentola, grugnendo come un facocero nella stagione degli amori.
Ne mangio tanto. E con tanto intendo che verso i novecento grammi di chilli consumato Jack inizia con le noiose tiritere tipiche delle persone anziane tipo “basta, ti fa male, perché devi fare lo stupido?”.
Io continuo, ustionandomi il palato con il sugo bollente e allontanando Jack con manate e calci.

Forti delle calorie ricevute e di una temperatura interna simile al nucleo della terra, decidiamo di uscire. Io, sudato e sfiancato dalla grande mangiata, esco indossando solo una camicia semi abbottonata.
Mentre ci inerpichiamo per i vicoli perugini un vento gelido si incanala fra le vie anguste e ci soffia potentissimo in faccia. Io inizio ad accusare lo sbalzo termico, e sento la testa che mi gira e i rumori ovattati.

Ci beviamo due Crest a testa e torniamo a casa, rinunciando alla serata per via del freddo inaspettato.

A casa ci mettiamo, tra una sigaretta e l’altra, a guardare vecchie foto e a raccontarci storie. Quand’ecco che Jack si accorge che io sono del bel colorito tipico dei cadaveri dei morti annegati. Sto sudando freddo e le mie labbra sono di un affascinante viola perlaceo.
Jack si spaventa e cerca di assistermi, io mi alzo di botto e sentenzio:

“DEVO CAGARE.”

... E corro in bagno. E lì accade una cosa poco piacevole: il mio corpo, per evitare di collassare allo sbalzo termico pancia bollente/vento gelido, decide di svuotarsi di liquidi e feci contemporaneamente. Mi ritrovo così simpaticamente a defecare nel cesso e vomitare nel bidet. Un’esperienza che non auguro a nessuno. La parte positiva è che sono sopravvissuto e ho capito perché non bisogna scherzare con le congestioni.



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