mercoledì 30 aprile 2014

LE RECENSIONI DEL POLPETTONE: ONIKAGE DI TOSHIO SAEKI



Saeki Toshio, Onikage, Published by Last Gap of SanFrancisco, San Francisco, 2010


La mia ricerca artistica mi ha portato più volte alla scoperta/confronto con artisti che hanno a che fare con la morte. O con il macabro. Che, generalmente parlando, significa poter sempre lavorare in una botte di ferro, che alla gente, il macabro, piace.
Non pensate agli ipocriti che, davanti alla foto di un cadavere, si coprono gli occhi. Saranno gli stessi stronzi che, sfogliando il giornale, si soffermeranno a leggere una notizia solo perché, magari, il loro occhio ha colto parole come “morti”, “mutilato”, “sangue”.

È normale. Lo è sempre stato. L'uomo è tanto spaventato dalla morte quanto ne è irrimediabilmente attratto. Pensate al genere horror. Se tutti noi fossimo GENUINAMENTE terrorizzati dalla morte, Dario Argento a quest’ora venderebbe fazzoletti.

Io non ho mai fatto segreto della mia fascinazione della morte. Sono un essere umano. Sguazzo nei cataloghi di Joel Peter Witkin. Adoro Goya. Impazzisco per Bacon.
E la mia ricerca continua incessante dall’anatomia alla criminologia, alle armi.

Bazzicando sul web vengo a conoscenza di questo signore di nome Toshio Saeki.
Le informazioni personali non ve le do, che per quelle c'è Wikipedia.
Ora, questa recensione non esisterebbe se non che per un motivo: ho comprato, finalmente, una cazzo di libreria per la casa.
Per una persona come me, non avere posto per i cataloghi è stato un concetto molto simile alla tortura cinese.
Il catalogo “Onikage” (Ombra del Demone, in giapponese) di Saeki è una bestia di 37.5 x 30 cm. Copertina rigida, ottimamente rilegato. La sensazione in mano è quella di stare stringendo qualcosa di prezioso.
Le opere sono quasi tutte a colori. Si parla di 23 illustrazioni ottimamente stampate.
Altre, sette per l’esattezza, presentate con uno stratagemma che mostra il procedimento di colorazione dell’artista: una carta semitrasparente con tutte le indicazioni per la colorazione che l’artista si è appuntato, da sovrapporre all’illustrazione in bianco e nero.




Egli “parla” usando la terminologia CMYK, ossia quella della stampa a quattro colori (ciano, magenta, giallo e nero). Per ogni campitura dell’illustrazione, l’artista elenca diligentemente la percentuale di ogni singolo colore da usare. E le quelle stesse pellicole semitrasparenti diventano opere. Diventano mappe, codici, paraventi da cui sbirciare.

Ma parliamo del buon Toshio.
Che i giapponesi fossero persone disturbate non era certo un mistero. Definire il loro rapporto con il sesso (e, più in generale, con l’intimità) disturbato è come dare del birbone ad Adolf Hitler.
Tuttavia, e ce lo insegna la storia dell’arte, disturbi e malattie sono spesso sostanza accelerante per l’estero flessione dell’artista stesso.
Se Toulouse Lautrec non fosse stato un nanetto fragile e deforme, le sue opere avrebbero avuto un significato completamente diverso.
L’opera di Toshio è fruibile in due modi differenti, entrambi con contenuto netto di piacere diverso.
Il primo,  quello con contenuto di piacere “molto buono” sulla Scala Giorgina, è il semplice godere della pulizia delle illustrazioni. Quella pulizia che permette ad un poveraccio con il cazzo tagliato di diventare altro. 


Di trasformare una ragazza torturata da un vecchio in qualcosa di molto, molto diverso.
Il secondo modo, quello con un contenuto di piacere “oddiosì” sulla Scala Giorgina, è andare oltre quelle linee perfette e permettere a quelle immagini di una crudezza impossibile di trasformarsi in oggetti da contemplare. Contemplare senza battere gli occhi, rapiti.
Le campiture piatte conferiscono ai lavori di Saeki un sapore di disincantato distacco rispetto alla scena, e si ha la curiosa sensazione di assistere ad una riproduzione teatrale. Un kabuki macabro e bellissimo.
Ed è proprio lì, in quell’attimo in cui ci si sente sicuri, al riparo, che il cervello si sgancia dalle sue catene e ci permette di godere appieno dell’artista giapponese.

Un tipino niente male. Un creatore di racconti, fondamentalmente. Lui stesso, in una nota all’inizio del catalogo, ci narra di come il raccontare sia sempre stato per lui, giovane affamato di film, tutto.
Poi, nell’adolescenza, l’incontro con quelle foto erotiche, vendute nei bui corridoi della scuola d’arte.

E tutto cambiò.

Un catalogo ottimamente realizzato, che riassume ed esalta il perverso, spaventoso (e quindi attraente) mondo di Toshio.

SCALA GIORGINA!



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